In un commento apparso ieri sull’edizione sudtirolese del Corriere, Roberto Toniatti, emerito di Diritto costituzionale all’Università di Trento, definisce la prevista riforma dell’autonomia
un risultato modesto, molto modesto, soprattutto se riferito — come è inevitabile che sia — alle prospettive incautamente o ingenuamente incorporate nell’iniziativa che ha dato l’avvio a questa fase.
– Roberto Toniatti
Afferma poi che «il maggior divario» tra le ambizioni dichiarate «e il nulla del risultato ottenuto» riguarda il principio d’intesa per le future modifiche statutarie:
[L]a novità consiste nella mera sostituzione della parola «parere» con quella di «intesa»: non vincolante la futura «intesa» così come non vincolante è l’attuale «parere». Con la conseguenza che la parola «intesa» viene a perdere il proprio significato specifico[.]
– Roberto Toniatti
Insomma, quasi un inganno.
Inoltre, si stabilisce che le modificazioni statutarie di origine governativa o parlamentare possano intervenire «fermi restando i livelli di autonomia già riconosciuti»: in altre parole, si definisce un limite ambiguo e soggetto a interpretazione (e pertanto debole) alla portata sostanziale di una riforma (generale o puntuale che sia) di cui le due Camere hanno comunque la disponibilità, sulla quale l’eventuale delle autonomie provinciali (parere negativo o mancata intesa che sia) si rivela formalmente indifferente e in ordine a cui solo la Corte costituzionale (nota per la sua vocazione centralista) potrebbe decidere in modo finale (su ricorso di un’autonomia che non sia del tutto prona alla volontà del governo nazionale).
– Roberto Toniatti
Anche Toniatti infine, come altri, fa notare che il progetto costituzionale del 2006 di Silvio Berlusconi (FI) e quello del 2016 di Matteo Renzi (PD) prevedevano reali meccanisimi d’intesa, a differenza dell’attuale riforma. Il che lo porta a constatare che «forse la destra autonomista continua ad essere un ossimoro».
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