Nel corso di una seduta del parlamento danese (Folketing), la deputata groenlandese Aki-Matilda Høegh-Dam nel 2023 si era rifiutata di parlare in danese, scegliendo invece di fare il suo discorso integralmente in lingua groenlandese, anche se ciò non era consentito dai regolamenti. Questa scelta non era dettata dal fatto che la deputata del Siumut non conoscesse il danese, ma dalla ferma convinzione che le due lingue dovessero avere pari diritti e pari dignità, e che questo dovesse comprendere anche la possibilità di usarle al Folketing.
Poter far uso di una lingua minoritaria in un parlamento ha una forte valenza simbolica, ma anche pedagogica, perché mostra — rendendolo naturale — che nello stato non si parla solo una lingua. Sia gli altri deputati sia i media e quindi la popolazione vengono confrontati continuamente con il plurilinguismo, così aumentando la consapevolezza e la tolleranza verso le minoranze.
Solo pochi mesi dopo quel gesto rivendicativo di Høegh-Dam, il parlamento danese effettivamente introduceva la possibilità di esprimervisi in una lingua minoritaria, cioè in groenlandese o in faroense. Tuttavia, almeno per ora permane una certa discriminazione, perché i discorsi fatti in una di queste due lingue devono tassativamente venire tradotti dagli stessi parlamentari, che per ripeterli in lingua danese hanno a disposizione il doppio del tempo. Oltre a questo però il Folketing mette a disposizione dei parlamentari non di lingua danese mezzi economici aggiuntivi perché ad esempio possano dotarsi di una traduttrice.
Perseveranza
Alla sempre combattiva Aki-Matilda Høegh-Dam ciò però non basta, perché il suo obiettivo dichiarato è quello di mettere veramente sullo stesso piano il groenlandese (e per estensione il faroense) con il danese nel parlamento. Ecco quindi che, dopo avere tenuto vari discorsi bilingui(zzati), ad ottobre di quest’anno si è rifiutata di autotradursi, mettendo a disposizione degli altri membri del Folketing solamente una versione scritta del suo intervento in danese. Questo non ha però evitato che dopo aver pronunciato il discorso, in groenlandese, le venisse ritirata la parola, senza possibilità di rispondere alle domande provenienti dall’aula, come le sarebbe stato concesso se avesse ottemperato all’obbligo di traduzione.
Ora ovviamente sarà interessante osservare se anche il suo nuovo atto di resistenza porterà a risultati concreti a breve termine, come nel 2023.
Sempre nel 2023, tra l’altro, era stato plurilinguizzato anche il Congresso spagnolo, con l’introduzione di un apposito servizio di interpretariato e quindi senza che i deputati siano tenuti ad autotradursi.
Nel parlamento italiano invece deputate e senatrici non hanno il diritto di esprimersi in una delle lingue minoritarie, e, anzi, vengono regolarmente insultate se fanno anche solo un saluto nella loro lingua o se non parlano l’italiano senza accento. Anche questo ha un effetto pedagogico, ma improntato all’intolleranza e al monolinguismo.
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