A distanza di anni, dopo aver già riimposto — e con grande successo — la toponomastica colonialista introdotta dal regime fascista, il CAI (Club Alpino Italiano o Club degli alpinisti italianizzatori) torna ora alla carica, invocando nuovamente interventi dall’alto o dall’esterno con appelli all’estrema destra di governo. Amareggiati da coloro che (chiamati «imbecilli»), barrandoli con un pennarello, mostrano di non accettare il persistente atto di sopraffazione rappresentato dai nomi largamente inventati dal Tolomei, chiedono che Raffaele Fitto (FdI), ora assurto a vicepresidente designato della Commissione europea, torni sul territorio a «verificare» la situationen. Quando invece è logico e normale che se viene pervicacemente negata la via democratica, della giustizia e addirittura quella di ogni più piccolo compromesso, si facciano strada forme di resistenza civile. Succede così in tutto il mondo — e basterebbe farsi un giro in molte regioni «minoritarie» d’Europa, dove le tracce di «opposizione» sui cartelli spesso non mancano.
Da anni il CAI, ignorando qualsiasi voce sensata proveniente anche dal mondo di lingua italiana (01
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) come pure le decisioni prese democraticamente, insiste su posizioni massimaliste ed unilaterali, orchestrando un tam tam mediatico che alla fine, per convinzione o per esasperazione, porta quasi sempre ai risultati sperati.
Non sempre però gli imbecilli sono quelli che in assenza di alternative si dotano di un pennarello. In molti casi, come nella fattispecie quello delle imposizioni antidemocratiche e coloniali provenienti dall’alto, l’imbecillità può senz’altro celarsi dietro a un cartello apparentemente terso o a una facciata pulita. Come d’altronde il «rispetto per la montagna», invocato a gran voce dal presidente locale del CAI, Carlo Alberto Zanella, non lo troveremo certo sfogliando le pagine del prontuario tolomeiano.
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