Michela Murgia è stata un’indipendentista sarda. La cosa sembra quasi essere sfuggita ai media italiani. Il settimo capitolo del suo Viaggio in Sardegna (Einaudi, 2008), lo dice chiaramente, la sua candidatura come presidente della Sardegna (2014) lo testimonia, e le sue dichiarazioni anche più recenti mostrano come sino alla fine lei sia rimasta un’indipendentista. Nella sua ultima intervista sul Corriere della Sera dichiarava: Gli scrittori postcoloniali, che hanno avuto successo non nella loro lingua originaria ma in quella dominante del colonizzatore, tendono a cercare un terzo spazio, una terza patria. (…). Per me, che sono sarda e scrivo in italiano, è la Corea».
Questo è un pensiero profondamente indipendentista. Il suo stesso essere una scrittrice sarda, come ha detto sino all’ultimo momento, è stato svalutato in molte cronache italiane, e solo pochi giornali hanno ricordato che le canzoni scelte da lei stessa per terminare il suo funerale siano state A diosa (nota come No potho reposare) e Deus ti salvet Maria. Michela Murgia sosteneva che fosse impossibile spiegare l’indipendentismo sardo agli italiani, o ai continentali che dir si voglia. Che non è separatismo, né una qualche forma di leghismo, ma ha un carattere generale o, se si vuole, intersezionale. È chiaro che la cultura italiana non ha parole per dirlo se non inquadrandolo in un esoticismo da strapazzo, o rimuovendolo. Eppure, l’indipendentismo sardo dice molto dell’Italia.
Mi sembra necessario tentare di instaurare un dialogo, proprio partendo dalla rimozione pubblica dell’indipendentismo di Michela Murgia, che non è stata semplicemente un’indipendentista, ma probabilmente la migliore leader indipendentista che la Sardegna abbia mai avuto, e non certo solo sul piano intellettuale.
da Sarda prima di tutto – Murgia l’indipendentista del sociologo Alessandro Mongili su Domani del 24 agosto 2023
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