Il governo spagnolo ha avanzato ufficialmente la richiesta al Parlamento europeo di riconoscere il basco, il galiziano e il catalano e di consentirne l’uso ad esempio negli interventi in aula. Questo è uno dei pochi risultati tangibili finora scaturiti dal tavolo di trattativa tra il governo socialista spagnolo di Pedro Sánchez (PSOE) e quello indipendentista catalano di Pere Aragonés (ERC) — dal quale Sánchez aveva bandito fin da subito il tema più scottante, l’autodeterminazione, scatenando le proteste catalane.
Quella di ufficializzare le lingue minoritarie nella camera europea è una vecchia richiesta di molti europarlamentari baschi, galiziani e catalani, che però si sono sempre dovuti scontrare con un’amministrazione europea che ascolta solo gli stati e con governi spagnoli di ogni colore che finora si erano pervicacemente rifiutati di soddisfare le loro richieste.
L’attuale passo non significa comunque che le tre lingue parlate nello stato spagnolo stiano per diventare a tutti gli effetti lingue ufficiali dell’Unione europea, come avvenuto recentemente con l’irlandese, in quanto il loro riconoscimento si limiterà (per ora) al solo ambito parlamentare.
In passato vari deputati europei avevano fatto uso delle lingue minoritarie non riconosciute per sensibilizzare i loro colleghi sulla discriminazione che stavano subendo, e alcuni baschi, galiziani e catalani si erano abituati a fare i loro interventi in inglese, francese o tedesco come segno di disobbedienza nei confronti di chi voleva imporre loro di «fare i castigliani» a Strasburgo.
Ora però finalmente il governo centrale si è deciso a fare questo passo verso la parità linguistica e ben presto, c’è da scommetterci, i suoni delle lingue basca, galiziana e catalana saranno regolarmente udibili nel luogo della democrazia europea. Più improbabile invece che vengano riconosciuti anche il friulano o il sardo, che — nonostante la costituzione più bella del mondo — non si parlano nemmeno nei rispettivi consigli regionali.
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