“Non sarebbe pensabile un gesto di amicizia e rispetto verso questo Stato?” domanda F. Cumer nel suo intervento sul Corriere dell’Alto Adige, chiedendo a Durnwalder di aderire alla celebrazione dell’unità d’Italia. Infatti, ci si potrebbe complimentare con il popolo italiano che 150 anni fa ha raggiunto la sua unità, sullo sfondo della storia europea dell’800 generalmente marchiata da questa tendenza fra le nazioni. E sarebbe senz’altro più facile se oggi i nazionalismi fossero superati. Riconoscere questo passo essenziale della storia italiana e aderire ad una grande celebrazione nazionale restano però due paia di maniche distinte. “Il 1861 e il 2011 hanno nulla a che fare con l’annessione seguita alla Grande guerra,” prosegue poi Cumer, “è la grande festa di un paese amico di cui la storia ha reso lei, obtorto collo, cittadino”. La storia, con permesso, ha reso i sudtirolesi cittadini, ma non italiani. Strano che anche Napolitano, nella sua lettera di rimprovero a Durnwalder, scarti questa distinzione — familiare ad ogni sudtirolese e tante altre minoranze nazionali — fra italiani e cittadini italiani. La Costituzione comunque parla solo di cittadini. Il 1861 e la Grande guerra non sono però momenti storici così avulsi l’uno dall’altro come li presenta Cumer. Il Risorgimento italiano non è stato considerato compiuto nel 1861, ma solo alla fine della Grande Guerra, quando l’Italia occupò terre non abitate da italiani. I sudtirolesi sono diventati vittime di una concezione dell’Italia, sviluppata dai movimenti irredententisti, che ha esteso i confini statali oltre l’Italia culturalmente definita. Dopo, come altri nazionalismi europei prima, il nazionalismo italiano è sfociato nel fascismo ed imperialismo. Anche le avventure italiane in Africa prima e dopo la Grande Guerra furono delle tragedie immani per le popolazioni della Libia, Eritrea e Abissinia. Il monumento all’alpino di Brunico, eretto nel 1938, fra i sudtirolesi è disdegnato non solo per il suo significato di trionfo militare, ma anche perché commemora le campagne coloniali di queste truppe.
Da una parte, quindi, nella percezione storica dei sudtirolesi lo stato unitario italiano, l’annessione e l’esasperazione del nazionalismo nel successivo fascismo sono fortemente intrecciati. Dall’altra parte, nell’ottica di gran parte dei sudtirolesi, la nuova repubblica in Sudtirolo ha dimostrato più continuità nazionalista che altrove. L’italianizzazione in modi più sottili è proseguita — tant’è vero che anche sul piano dei simboli il fregio di Mussolini di Piffrader è stato completato solo negli anni 1950. Ci sono voluti 27 anni per strappare un’effettiva autonomia provinciale che non ha potuto intaccare né i monumenti fascisti, né i nomi di Tolomei. Anzi, per effetto dell’autonomia la maggior parte dei concittadini di lingua italiana da più di 30 anni si sono compattati attorno alle forze politiche eredi del pensiero della destra nazionalista. L’immagine dell’Italia con la sua ricca vita democratica, le grandi conquiste delle lotte operaie, la modernizzazione economica e sociale, l’apertura al mondo, la sua grande cultura nella percezione dei sudtirolesi “medi” è rimasta intorbidita dai moti nazionalisti locali. Il fatto che una vasta maggioranza dei cittadini di Bolzano abbia ribattezzato una piazza “della vittoria” anziché “della pace” lo riconferma. Quando nel 2010 forze politiche locali spingono per tolomeizzare tutti i sentieri di montagna, ciò certamente è stato percepito come momento di continuità, non di rottura con il passato. Ultimo rigurgito di nazionalismo la rivolta contro la musealizzazione dei monumenti fascisti, però voluta dal Governo, che non può affatto invogliare i sudtirolesi ad unirsi gioiosi ai vicini per celebrare l’unità d’Italia.
In questa situazione possiamo pacificamente concedere a Durnwalder che, rifiutando l’adesione della Provincia alla celebrazione del 17 aprile, non solo ha espresso la sua opinione sincera, ma ha interpretato bene l’indole della stragrande maggioranza dei sudtirolesi. L’unificazione dell’Italia da queste parti non solo viene percepita come qualcosa di alieno a questa terra, ma lo si associa anche a tappe storiche tristi: nella memoria collettiva sudtirolese il nazionalismo italiano dai momenti della propaganda irredentista per il confine del Brennero fino alla lotta per l’autonomia degli anni 1960 si è presentato aggressivo o perlomeno minaccioso, non amico (Cumer). Si tratta perciò di una “dissociazione irriducibile” (Gabriele Di Luca), o diffidenza di fondo, nutrita da fatti recenti, ancora lontana da una memoria condivisa. Sarebbe già tanto se si iniziasse a interessarsi della storia dell’altro. Giustamente Luisa Gnecchi afferma che non si può imporre ai sudtirolesi di festeggiare un evento che non scalda i loro sentimenti. Festeggiare il raggiungimento dell’unità nazionale è legittimo, per carità, ma è anche la celebrazione del sentimento nazionale per eccellenza. Ipotizzare, come fa Cumer, un dovere morale di partecipazione a tale evento da parte delle minoranze nazionali, diventate tali controvoglia, invece è poco legittimo. Anziché strappare ai sudtirolesi simpatie per l’unità italiana sarebbe meglio concentrarsi sui valori condivisibili oggi, sui progetti comuni odierni che vanno oltre l’idea dello stato-nazione che si festeggia il 17 marzo: un’autonomia provinciale che funziona più o meno bene, la convivenza e la conoscenza della lingua e della cultura dei vicini, un’Europa sempre più unita, nuove forme di cooperazione transfrontaliera. Il 20 gennaio per esempio: festa dell’autonomia e della convivenza su una nuova Piazza della Pace a Bolzano?
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