Qualche giorno fa si è rivolto al nostro Landeshauptmann, Luis Durnwalder, invitandolo a partecipare ai festeggiamenti per l’unità d’Italia. Lo ha fatto adducendo motivazioni false e putroppo anche offensive per molti sudtirolesi, cercando ancora una volta di attribuirci un’identità che non abbiamo scelto e che non ci appartiene. Di più, molti di noi si sono convinti che il modello nazionale, che ha portato molta sofferenza all’Europa del secolo scorso, non è adeguato a garantire un futuro di pacifica convivenza alle popolazioni di questa terra, nemmeno attraverso l’autonomia.
Lo stato nazionale, per indole, è incapace di integrare le diversità valorizzandole, ma tende sempre a un livellamento verso il basso. Gli sviluppi contrari a questa tendenza «naturale» sono visti con diffidenza e destinati a doversi giustificare costantemente, costringendo a sforzi ingenti al solo scopo di non doversi conformare.
Il rappresentante di uno stato plurale non si sarebbe rivolto ai sudtirolesi chiedendo un atto di fede e di adesione alla comunità nazionale predominante, ma ne avrebbe valorizzato il ruolo contaminante. Ovviamente non è con un atto singolo che si cambia il carattere, l’impostazione di uno stato incapace di dare visibilità nel quotidiano alle diverse comunità che lo compongono. Ne è un sintomo il manifesto apparso anche a Bolzano nella sua versione monolingue, a simboleggiare il disinteresse verso la nostra specificità.
Constatata l’impraticabilità di una sua evoluzione positiva — me ne sono convinto da parecchio tempo — solo la progressiva dissoluzione dello stato nazionale ci permetterà di sperimentare modelli alternativi basati sul rispetto reciproco e sulla diversità. Non ho nulla da festeggiare, non perché rattristato da eventi risalenti a 90 anni fa, ma perché spero in un futuro senza nazionalismi. Ecco perché in quest’occasione mi sento ben rappresentato da Durnwalder, che lascia libertà di scelta ma non aderisce in quanto rappresentante di una realtà complessa.
Cordialmente
Cëla enghe: 01
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