La faccia del verde Riccardo Dello Sbarba incastrata tra quelle di Vezzali, Urzì e Seppi a discutere di politica etnica e difesa degli italiani è un emblema dell’involuzione politica sudtirolese degli ultimi tempi. Non siamo ancora al partito di raccolta, da contrapporre a quello delle minoranze linguistiche (invece di superarlo in chiave territoriale) ma si parla già di «fronte degli italiani». Non nasce né per discutere di politica culturale, né per dare un ruolo attivo agli italiani nell’evoluzione dell’autogoverno, ma per creare trincee etnico-identitarie, sulle quali pur con insignificanti distinguo tutti sembrano convergere. D’altronde l’agenda politica viene ormai dettata dalle destre, assecondate (se non precedute) da un quotidiano che da anni cavalca l’onda della confrontazione, salvo negare il proprio ruolo e proporre modernissime forme di dialogo, dettandone le condizioni.
Certo, fa ancora una certa impressione vedere un verde in compagnia di berlusconiani, finiani (che amano ricordarci i lati buoni del fascismo) e Unitalia (arrivati a definire il resistente Franz Thaler un disertore). In altri paesi, più democratici, i fronti comuni si creano contro partiti di questo tipo, non assieme a loro. Ma forse lo stupore è dovuto più all’etichetta di «partito interetnico» che i verdi si sono autoaffibbiati (in un periodo in cui ancora lo erano) che ai veri contenuti della loro politica. Da anni ormai sostengono posizioni francamente indifendibili e difficilmente distinguibili da quelle dei partiti più oltranzisti: Dalla negazione dell’esistenza di una minoranza tedesca, passando per la difesa di tutti i toponimi fascisti («ubi nomen, ibi patria», nientemeno), alla richiesta di eliminazione della fontana di re Laurino (contestuale alla richiesta di mantenimento dei monumenti fascisti) e all’idealizzazione permanente dello stato centrale in quanto garante super partes di equilibrio e diritti fondamentali.
A fronte di quest’incredibile miseria — completata dall’adesione del PD di lotta e di governo — diviene sempre più improcrastinabile una decisa apertura di tutti i partiti «di lingua tedesca» nei confronti dei concittadini di lingua italiana. Anche se l’impianto autonomistico ancora non lo favorisce, è necessario scindere la discriminante politica da quella etnica, per dare rappresentanza effettiva a quelle migliaia di italiani (destinati verosimilmente a crescere) che già ora danno il loro voto a partiti autonomisti e indipendentisti, senza che questi possano rappresentarli efficacemente. Se vogliamo avanzare verso un futro comune diventa definitivamente insostenibile che gli italiani non trovino un’offerta politica che li inglobi in un progetto propositivo, invece di costringerli a salire sulle barricate in difesa di Mussolini e Tolomei.
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