Ritornato in Sardegna questo finesettimana con i suoi colleghi di partito Clara Ponsatì e Toni Comín, l’ex presidente catalano Carles Puigdemont (JxC) si è presentato oggi in tarda mattinata in tribunale a Sassari. Varie fonti assicurano che se fosse rimasto in Belgio, dove era ritornato dopo l’arresto del 23 settembre, il caso sarebbe stato archiviato — ma così per volontà dell’imputato non è stato.
Sin dall’inizio dell’udienza la magistratura aveva chiesto al tribunale di non proseguire con l’estradizione di Puigdemont, ed è la linea che si è poi affermata, dato che poco dopo le ore 15.00 l’europarlamentare ha lasciato il Palazzo di giustizia di Sassari da persona libera.
È dunque confermato, come i difensori di Puigdemont sostengono da tempo, che il loro assistito non potrà essere perseguito né estradato finché la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) non si esprimerà su alcuni punti fondamentali della questione.
Ennesima sconfitta dunque per la repressione spagnola, resa forse ancora più bruciante da un importante dettaglio: appreso del viaggio di Ponsatì e Comín, il giudice del Tribunal Supremo Pablo Llarena aveva preparato e inviato a Sassari in fretta e furia due richieste di estradizione anche per loro, sostenendo che i mandati di cattura europei fossero ancora attivi. Questo nonostante — ma il condizionale è d’obbligo — l’Italia avrebbe segnalato tramite il sistema informativo dei paesi aderenti al trattato di Schengen che non si sarebbe attivata.
Rimane comunque l’impressione che la Spagna stia abusando dei sistemi di giustizia europei per operare un vero e proprio mobbing nei confronti degli indipendentisti, al di là delle reali probabilità di vederseli consegnare — per il semplice gusto di far loro passare inutilmente qualche ora nelle carceri e davanti ai tribunali di mezza Europa. Un comportamento del tutto incompatibile con uno Stato di diritto.
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