Qualche tempo fa a Brixen avevo notato un adesivo in cui qualcuno, pur «ingiustamente» arrogandosi il diritto di farlo, a nome degli «italiani del XXI secolo» prendeva le distanze dall’imperialismo del passato — in particolare per quanto riguarda l’italianizzazione di migliaia di toponimi in Sudtirolo. Un messaggio che ingenuamente avevo interpretato come un piccolo, flebile segno di speranza e di convivenza, pur sapendo che verosimilmente non rappresentava un sentimento maggioritario — e che non era nemmeno detto che chi lo ha redatto fosse effettivamente di madrelingua italiana.
Evidentemente anche Antonio Bova (FdI), storico esponente di partiti e movimenti post e neofascisti della città vescovile ha notato l’etichetta, ritenendola però talmente pericolosa da dovere denunciarla pubblicamente, ottenendone (a suo dire) l’immediata rimozione da parte del Comune. Sì, perché in questa terra anche oggi vale di più lo schiocco di dita di un neofascista (01
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) che, come in questo caso, un innocuo messaggio di speranza. Non sia mai che possa rivelarsi contagioso.
Il meloniano supereroe è peraltro subito stato assecondato dal sempre disponibilissimo quotidiano in lingua italiana dell’Athesia, dove addirittura hanno diligentemente ricopiato la bovana categorizzazione dell’adesivo come opera di non meglio precisati — e pericolosissimi — «secessionisti». La realtà è che nel XXI secolo ancora troppi (inclusi molti media di lingua italiana) ritengono che ciò che altrove è considerato doverosa riconciliazione o perlomeno una normalità democratica (01
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), qui da noi possa essere visto solamente come estremismo e antiitalianismo.
Poveri noi.
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