Come riporta l’inserto sudtirolese del Corriere nelle sue edizioni di sabato, domenica e odierna, la legge provinciale 7/2001 sul riordino della sanità sarebbe attualmente inapplicabile, perché il giudice Giulio Scaramuzzino ne avrebbe rimesso una parte al vaglio della Corte costituzionale. Il riferimento in concreto è all’articolo 48 comma 3 che regola la selezione dei primari, contro cui avrebbe fatto ricorso una candidata precedentemente scartata.
Fino alla pronuncia della Corte costituzionale sono dunque ferme tutte le nuove nomine — e almeno in bilico le riconferme, creando grande scompiglio a un sistema sanitario già in affanno per via della pandemia.
Quel che trovo inquietante è che il giudice, nel motivare la rilevanza della questione di legittimità costituzionale, tra le altre cose, affermerebbe che la norma sudtirolese è «irragionevolmente diversa» da quella statale, «senza che la dicrasia normativa sia giustificata da necessità di tutela delle specificità locali» (Corriere del 15.05.).
Questo ragionamento, se si affermasse, sarebbe un ulteriore enorme passo verso la limitazione dell’autogoverno. Non solo c’è chi ritiene che l’autonomia vada meritata (ossia che per essere autonomi sia necessario gestire meglio degli altri), ma ora c’è anche chi sostiene che ogni differenza tra normativa statale e sudtirolese, per non essere ritenuta illegittima, debba essere giustificata da una non meglio definita «necessità di tutela delle specificità locali».
Ciò significherebbe che il legislatore sudtirolese, anche negli ambiti di propria competenza, non potrebbe legiferare liberamente — ma che il margine di intervento si ridurrebbe a pochi e puntuali discostamenti dalla normativa statale, solo laddove la fantomatica «tutela delle specificità» lo giustifichi.
Pura follia.
Cëla enghe: 01
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