[B]en vengano le domande, come quella del direttore [del quotidiano A. Adige] Faustini di qualche giorno fa: “L’Alto Adige è in Italia o in Austria? Perché – ha scritto il direttore – è difficile capire come mai ogni [!] sua decisione non si basi su ciò che da tempo stanno dicendo e scrivendo le istituzioni e gli studiosi italiani, ma su tutto [!] ciò che decide – con dati, parametri e persino suggestioni diverse – l’Austria.”
Sono domande che solo chi è in mala fede o troppo disattento può scambiare per una provocazione etnica, essendo invece indispensabile capire a quale modello ci ispiriamo per amministrare questa provincia, a maggior ragione se i fatti hanno dimostrato che la via altoatesina altro non era che un vicolo cieco.
Luca Crisafulli, avvocato e già membro della Commissione dei Sei, in Provincia, serve maggiore trasparenza sull’A. Adige di ieri
Ecco. Il livello (di nazionalismo) è questo. Ma io, per definizione, sono «in mala fede o troppo disattento».
Oltretutto il famoso vicolo cieco ha fatto sì che il Sudtirolo — nel momento in cui è apparso il commento da cui cito — abbia una delle incidenze più basse se confrontato con l’Italia. E, almeno fino a qualche settimana fa, una mortalità inferiore a quella di qualsiasi regione dell’Italia settentrionale.
Ma questo non conta.
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