Mercoledì prossimo il Consiglio comunale di Merano, sulla base di una mozione del rappresentante ecosociale David Augscheller approvata nel 2018, deciderà finalmente come si chiamerà quella che finora era stata via Cadorna. I nomi — tutti al femminile — che potrebbero sostituire il generale, caduto in disonore soprattutto per il trattamento disumano riservato ai propri soldati, sono quattro: Elena Stern De Salvo, Aliza Mandel, Mathilde von Schwarzenberg o Anita Pichler. Si tratta di proposte elaborate da un’apposita commissione.
Durissima la critica del consigliere provinciale di estrema destra Alessandro Urzì (AAnC/FdI), che mette in guardia da quelli che ritiene «talebani del 2000» in quanto con questa «pulizia linguistica ammantata di idealismo» creerebbero un precedente per l’abolizione di altri nomi «italiani».
Lo «storico» Giorgio Delle Donne — secondo il Dolomiti, che lo cita — attacca a suo giudizio vorrebbe imporre la memoria collettiva «sudtirolese» (incarnata dal «partito unico e totale» dell’SVP) ai poveri italiani (deboli e divisi).
Peccato che a volerne fare una questione etnica a tutti i costi, si scoprirebbe che nel corso degli anni sono scomparsi Wenter (a Merano), von Klebelsberg (a Bolzano), Ploner (a Sterzing) o più recentemente N****hütte (in Badia) — mentre non risulta l’abolizione di denominazioni «italiane». Anzi, su quel fronte si sono addirittura aggiunti il Lungo Talvera (Bolzano) e la via (Brixen) dedicati agli Alpini, poi il parco che CPI ha potuto dedicare ai cosiddetti «martiri» delle foibe o il nuovo monumento «fascista» per Norma Cossetto.
In questo caso, metterla sul piano etnico — magari tirando fuori la solfa del disagio — non sembrerebbe dunque un’idea tanto azzeccata. Meglio distinguere tra retrogradi e progressisti.
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