Non abbiamo mai avuto lamentele per personale che non parlava la lingua del paziente. Anche perché è nel nostro interesse che il personale sia bilingue.
Per lo meno da quando sono in azienda io non ho mai avuto a che fare con cause legali legate alla non conoscenza della seconda lingua. E non ricordo nemmeno di pazienti che si siano lamentati perché medici o infermieri non parlavano la loro lingua.
Così l’inserto locale del Corriere cita il direttore generale di Sabes, Florian Zerzer, nell’edizione del 10 novembre. E deduce:
Cosa c’è di fondato nella denuncia di Süd-Tiroler Freiheit, condensata nei manifesti choc appesi alla fermata dell’autobus davanti all’ospedale? Dati alla mano, nulla. Pura provocazione. O almeno questo è quello che sostengono dall’Azienda sanitaria.
Velocissimi dunque, sia Zerzer che l’autore dell’articolo, ad assolvere Sabes, negando il problema. Che tuttavia — proprio «dati alla mano»! — esiste e andrebbe preso sul serio, invece che minimizzato: secondo il barometro linguistico dell’Astat, nella sua ultima edizione, ben al 31,9% della popolazione di lingua tedesca e all’8,8% di quella di lingua italiana, nei soli 12 mesi precedenti alla rilevazione, da unità sanitaria e ospedali è stato rifiutato il diritto di parlare nella propria lingua, previsto dallo Statuto di autonomia.
La sanità pubblica dunque si attesta perfino ai primissimi posti nella poco lusinghiera classifica dei servizi pubblici che non garantiscono quanto stabilito dalle leggi in materia linguistica.
Trovo un pessimo segnale che il direttore generale neghi o, ancor peggio, non sia a conoscenza di un problema che definirei gravissimo (con possibili ripercussioni anche gravi sulla salute dei pazienti) solo perché non risultano ufficialmente lamentele o cause legali. La consapevolezza di quel che accade (e di quel che non va) sarebbe il primo passo, indispensabile, verso il necessario miglioramento — e invece scopriamo che va tutto bene.
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