Così, per esempio, quando prevale l’idea della tolleranza su quella della uguaglianza, quando si affermano argomenti politici come quello secondo cui i migranti vanno accolti poiché sono una risorsa che serve al paese (“Ci pagheranno le pensioni”) – mentre andrebbero considerati soltanto come persone, poiché quello sono, persone, prima d’ogni cosa! – ecco, quando avvengono slittamenti culturali di questo genere, è proprio allora che la sinistra rinnega se stessa per procedere spedita in quella operazione mimetica al termine della quale sarà difficile distinguerla dalla destra.
Tutto ciò è potuto accadere negli ultimi trent’anni in nome di un realismo politico che si è fondato sull’esistenza di un nemico il quale è sempre stato rappresentato come un pericolo per la tenuta democratica del paese. Ciò ha consentito di proclamare un’emergenza permanente e, così, di soprassedere sulla costruzione di una propria identità politica nuova. Allo stesso tempo, mancando un disegno politico alternativo, a quel nemico ci si è fatti però sempre più simili nella cultura politica, nel linguaggio, nell’organizzazione del proprio agire.
Alessandro Calvi in «La sinistra ovvero l’essere di destra a propria insaputa» su Internazionale (12.08.2019)
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