di Fabio Rigali
I rapporti tra Islam e Cristianesimo, così come la convivenza tra musulmani e cristiani è certamente uno dei temi più caldi a livello mondiale. In barba al provincialismo di cui il Sudtirolo viene immancabilmente accusato, il problema è molto sentito anche da noi e le notizie che circolano su possibili aperture di centri islamici in provincia non tardano a suscitare dibattiti.
Le fazioni sono, semplificando volutamente, sostanzialmente due: una la chiameremo, “NO-Islam”, l’altra “NO-Crocifisso”. Entrambe hanno un certo fascino e mi sento in obbligo di descriverle brevemente, per chiarire cosa intendo, prima di abbozzarne una terza possibile.
I più agguerriti e multiformi son certamente i “NO-Islam”: si va dalle innocue vecchiette dell’oratorio a quelli che si salutano col braccio destro alzato, passando anche per insospettabili amanti delle deiezioni suine, come la sorprendente consigliera Artioli (SVP, poi Lega, poi PD, poi?). Appartengono a questo orientamento anche quei distinti giovincelli che vanno a serate di gala con divise, berrettini e bandierine germaniche e molta altra gente che in chiesa raramente si fa vedere. La fazione è dunque talmente vasta che si va da fautori di blandi divieti a dei veri e propri crociati con Bibbia e Fucile. Devo ammettere che Bibbia e fucile è un’idea che affascina pure me: il mio sogno inconfessabile è quello di sottomettere la Svezia con l’esercito papale come fece Cesare Borgia con la Romagna. Sarei poi un terribile sanguinario: imporrei ai sottomessi di assumere abitudini propriamente cattoliche come bere alcolici spesso ma senza stordirsi, intrattenere rapporti umani, non pensare unicamente al lavoro e dedicare tempo alle relazioni sociali. Sfortunatamente per me e per i “NO-Islam” che si ergono a paladini del cristianesimo, purtroppo la Bibbia è chiara nel condannare propositi belligeranti e l’immagine di Gesù, da come è descritta nei Vangeli è quella dell’uomo tollerante: egli è ricordato per l’aver detto di porgere altra guancia, non per aver incitato a ferire di spada. Se poi ci fosse qualche irriducibile che non potesse rinunciare al proposito di voler occidentalizzare (o addirittura convertire) gli islamici, allo stesso modo in cui io vado predicando agli Svedesi, a suon di serate tra amici, che essere socievoli è meglio per tutti, non credo ci sia cosa più persuasiva che mostrare ai musulmani con il proprio esempio come si possa vivere tutti meglio in una società tollerante e democratica, in cui ognuno possa vivere la propria sfera religiosa nel modo che preferisce. In nessun caso, da quel che io ho potuto apprendere dalle Sacre Scritture, un cristiano praticante, avrebbe ragioni per essere realmente “NO-Islam”: se è vero che in alcuni Paesi musulmani i diritti dei cristiani vengono calpestati, non per questo noi dovremmo trattar male coloro che arrivano in Europa, perché questo sarebbe rinnegare i migliori principi della nostra religione e civiltà.
Più ristretta, ma altrettanto supponente, è invece la cerchia dei “NO-Crocifisso”. La maggior parte di questi sono ostentatamente non cristiani e quelli che lo sono, se ne scusano. Sostanzialmente un po’ come alcuni credono che “de-tirolizzando” il Sudtirolo si possa rendere migliore la convivenza con gli italiani, questi credono che ogni simbolo del cristianesimo in Europa si ripercuota sui rapporti con l’Islam e sulla loro libertà religiosa o, meglio, di non-religione. L’Ateismo, così come ogni Credo è una scelta personale e non deve essere imposta, ma con una notevole differenza. Non c’è bisogno di togliere crocifissi o di legare le campane, se uno non crede: il fatto stesso di non credere dovrebbe essere sufficiente a fare di quei simboli qualcosa di totalmente vacuo. Chi crede all’astrologia, infatti, attribuisce grande importanza a date di nascita, ascendenti e posizione degli astri, ma chi non ci crede semplicemente si astiene dal leggere gli oroscopi. Se uno non crede in nulla, poi, non ha bisogno di simboli, perché il nulla e l’assenza sono non-essere. Vietare i simboli altrui, però, è l’imposizione del proprio non-credere ed è, secondo me, una forma di fondamentalismo. Questa è la differenza di fondo tra tolleranza ed ateismo. La negazione della religione, non è quindi garanzia sufficiente di tolleranza allo stesso modo in cui disprezzare la Heimat, come fanno alcuni, non è garanzia di cosmopolitismo. Inoltre semplici intuizioni sociologiche dovrebbero rendere evidente che è difficile educare qualcun altro al rispetto reciproco, se non si è in grado di rispettare la cultura dei propri padri.
La terza posizione non c’è; o perlomeno non è altrettanto visibile. Se ognuna delle due fazioni “NO” è in certa misura improntata all’integralismo, questa fazione dovremmo chiamarla del “SI”, perché dovrebbe essere manifestazione della più ampia e sincera tolleranza. SI all’Islam e SI al Crocifisso, perché essi possono pacificamente coesistere ed i rapporti sociali in una società moderna possono e devono fondarsi su livelli diversi dall’appartenenza ad una fede religiosa. Così come i fuochi di Herz-Jesu non possono rappresentare un pretesto per il Bolzanino di sentirsi a disagio, o il tifare di quest’ultimo per la nazionale italiana un pretesto per lo Schildhöfler di sentirsi umiliato, i simboli religiosi di Islam e Cristianesimo devono poter convivere gli uni accanto agli altri: chi si sente offeso dalla semplice esistenza di qualcosa di diverso è, in certa misura, intollerante. Ognuno deve avere la propria dignità ed il diritto di esistere non rappresenta, in sé, una minaccia per gli altri. Se il Cristianesimo, l’Islamismo o l’Ateismo di stato sono, a ragione, ritenuti vessatori ed intolleranti per le minoranze, l’altro approccio possibile è quello del Panteismo tollerante.
Un esempio concreto? Ecco una mia idea provocatoria di alcuni anni fa: siccome prima o poi la comunità islamica vorrà un centro religioso e culturale a Bolzano adeguato alle sue esigenze e dimensioni, sarebbe un’ottima idea mettere a loro disposizione dei locali in centro storico, con la sola condizione di renderlo aperto, accogliente ed accessibile a tutti (come le chiese o i centri culturali). La locazione centrale ha una forte valenza simbolica ed innumerevoli altri benefici, sia per la comunità che per la città, da cui non si può prescindere. Il centro, idealmente, potrebbe ospitare un vasto numero di attività culturali, da iniziative culinarie o di storia dell’arte islamica a serate sulla vita di Maometto ed ognuno dovrebbe poterci partecipare. Chi ne gioverebbe? Tutti. I partecipanti delle serate, che potrebbero approfondire aspetti una cultura a noi distante; la comunità islamica, che si vedrebbe simbolicamente accolta, visibile e riconosciuta; la cittadinanza, che percepirebbe una maggior distensione nel poter entrare in contatto e vedere coi propri occhi questa realtà. Siccome c’è già chi parla di monitoraggio da parte della DIGOS, l’ubicazione in centro, quindi sotto gli occhi dell’intera città, probabilmente renderebbe superfluo il controllo di polizia, a vantaggio di tutti. Chi ne trarrebbe danno? Soprattutto i seminatori d’odio. Quelli che vogliono riproporre lo scontro di civiltà e le crociate nel XXI secolo e che fanno della diffidenza il proprio capitale politico o anche quei musulmani che giocano sull’emarginazione delle comunità per fare proselitismo per conto di organizzazioni jihadiste. Ad una serata per ragazzi in centro su “Le Mille ed una notte”, questi sarebbero i primi a sentirsi fuori luogo!
Scrì na resposta