Il governo di Ugo Rossi sta lavorando a ritmo serrato per introdurre una scuola trilingue italiana, tedesca ed inglese nella parte meridionale della nostra Euregio, mediante il ricorso alla metodologia del CLIL (apprendimento integrato dei contenuti e delle lingue). Si tratta di una scommessa importante che reinserirebbe a pieno titolo il Trentino nel plurilinguismo storico del nostro comune Tirolo e ne amplierebbe ulteriormente gli orizzonti con l’approfondimento dell’inglese. Tuttavia sono in molti a pensare che una trasformazione così radicale di un intero sistema scolastico sia una vera e propria esagerazione e che accanto alle opportunità vadano tenuti in debita considerazione anche i rischi dell’operazione. Ad esempio il CLIL, secondo i timori di alcuni, potrebbe influenzare negativamente l’apprendimento dei contenuti nelle singole materie da parte degli alunni meno inclini all’apprendimento linguistico — perlomeno se non attuato con tutte le precauzioni del caso.
Ciò che invece stupisce è il timore di vedere svalutata (se non addirittura deteriorata) «la madrelingua» italiana. Oltre 1200 firme raccolte in breve tempo fra gli insegnanti delle scuole primarie ne sono un’importante testimonianza, che a maggior ragione dovrebbe far riflettere più a nord. Infatti, mentre i vicini trentini dispongono di una realtà sociale quasi perfettamente monolingue e quindi sostanzialmente stabile, qui da noi in Sudtirolo siamo confrontati a tre comunità linguistiche, fra cui due minoranze esposte ai naturali effetti assimilatori di uno stato nazionale. E se già in Trentino gli insegnanti mettono in guardia dai rischi del trilinguismo spinto per la madrelingua, tanto più destabilizzante è il potenziale effetto di una scuola «mista» in Sudtirolo, dove esiste il rischio effettivo di uno stravolgimento della fragile situazione linguistica. L’apprendimento e il rafforzamento della madrelingua sono infinitamente più importanti per una minoranza linguistica che per la maggioranza «nazionale» di uno stato.
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