In certi ambienti politici e giornalistici, soprattutto (ma non solo) di lingua italiana, ultimamente si sta affermando una concezione «meritistica» della nostra autonomia. Questa concezione del tutto difensiva consiste nella pretesa che il Sudtirolo, per poter mantenere il suo autogoverno di fronte all’aggressiva politica centralizzante di Roma, debba dimostrare di essere meno corrotto, più innovativo, più parsimonioso e insomma in tutto e per tutto «migliore» rispetto ad altre realtà e allo stesso stato centrale.
Ora, pur non essendo attualmente particolarmente difficile raggiungere tale obbiettivo, vanno fatti due rilievi consistenti a tale impostazione.
Primo: Come già abbiamo avuto modo di affermare, le ragioni storiche del nostro autogoverno affondano le proprie radici nella nascita degli stati nazionali da un lato e nell’annessione di un territorio linguisticamente e culturalmente «diverso» e quindi non senz’altro assimilabile al territorio nazionale se non contro la volontà della popolazione ivi residente. Non a caso né il trattato Gruber-DeGasperi né lo statuto di autonomia legano l’autogoverno a criteri qualitativi e anzi sarebbe del tutto fuori luogo che lo facessero. Il Sudtirolo, causa la sua diversità in termini nazionali, ha la facoltà di autoamministrarsi comunque, foss’anche peggio della media delle regioni italiane.
D’altronde, se applicassimo criteri «meritistici» agli stati, l’Italia probabilmente avrebbe certe difficoltà a giustificare e a mantenere la propria indipendenza statuale.
Secondo: C’è però un ulteriore fattore a rendere il merito un metro di giudizio assolutamente inadeguato a giustificare l’autonomia di un territorio come il nostro. Per decenni il partito di raccolta (SVP) ha fatto leva sull’unità politica di tutto un «popolo» come unica possibilità per potersi difendere dal potere centrale e centralizzante. Ciò, come sappiamo, ha necessariamente prodotto una situazione politica del tutto anomala, ascrivibile alla situazione di minoranza in uno stato nazionale di lingua diversa. Una concezione «meritistica» dell’autonomia rafforzerebbe ulteriormente e probabilmente in maniera deleteria tale anomalia, causando una vera e propria chiusura su se stessi su tutti i livelli. Se infatti qualsiasi contributo alla scoperta di eventuali scandali o ingiustizie potrà venir letto come un attacco all’autonomia, è molto probabile che l’interesse ad insabbiare, a non far scoppiare un caso, aumenterebbe in maniera esponenziale. Le prime vittime di una rincorsa al merito — all’essere comunque i migliori — sarebbero, con ogni probabilità, la trasparenza, il pluralismo e la funzionalità dei checks and balances che negli ultimi anni hanno iniziato a funzionare meglio anche perché, come ha avuto modo di affermare recentemente il procuratore Rispoli, la giustizia dai sudtirolesi non viene ormai più considerata un fattore alieno, ma interno e funzionale all’autonomia. Se fossimo costretti a meritarci l’autonomia ciò comporterebbe un’inevitabile quanto radicale inversione di tendenza.
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