La proporzionale etnica nell’assegnazione di cariche nel pubblico impiego è un male a fin di bene, in quanto previene possibili storture derivanti dalla nostra appartenenza a uno stato (mono-)nazionale. In varie occasioni si è proposto di abolirla o perlomeno di flessibilizzarla, magari rafforzando le garanzie di bilinguismo. Nella politica però sin dall’inizio la proporzionale fu molto blanda per non distorcere inutilmente la democrazia. Inutilmente? Sì, perché se nel pubblico impiego la proporzionale impedisce che la dirigenza possa avantaggiare un candidato secondo criteri etnici, in democrazia la dirigenza è rappresentata dal popolo sovrano che deve avere libertà di scelta. Ovvero, se tutti gli elettori ritengono importante votare in base all’appartenenza etnica, ne conseguirà un Landtag che rispecchia la proporzionale, ma se nessuno votasse secondo quel precetto, la distribuzione dei seggi risulterebbe giustamente modificata. Insomma la proporzionale etnica non ha senso quando c’è proporzione democratica.
In questo senso le ultime elezioni ci hanno consegnato una dieta sudtirolese palesemente sbilanciata etnicamente, col gruppo linguistico italiano fortemente sottorappresentato. Ma non è stato il gruppo linguistico dominante a imporre questo risultato, bensì gli stessi italiani, votando partiti «tedeschi» o non recandosi alle urne. I partiti italiani, dunque, non sono riusciti a mobilizzare il proprio elettorato, perché divisi e incapaci di formulare una proposta politica sufficientemente attraente. Ora come sappiamo il PD non ha voluto accettare la sconfitta, chiedendo ad alta voce di ignorare la proporzionale che, nella composizione dell’esecutivo, si riferisce alla composizione etnica del Landtag e non già all’esito del censimento.
Una richiesta rimasta inascoltata, ma non del tutto: infatti il programma di governo della presente legislatura prevede che lo statuto di autonomia sia modificato per adeguare la proporzionale e assicurare al PD un secondo Landesrat, che potrebbe venirgli consegnato già nel corso del quinquennio. Una decisione che potrebbe risultare fatale, oltre a significare un’ulteriore etnicizzazione, ad uso e consumo di un partito che si autodefinisce interetnico (salvo ritrattare all’occorrenza) e che vorrebbe contribuire (a parole) alla mitigazione delle divisioni etniche.
Un provvedimento che assoggettase (o che avvicinasse) la composizione del Landtag o anche solo dell’esecutivo alla proporzionale etnica ‘assoluta’ e non più a quella ‘elettorale’, riorganizzerebbe la politica sudtirolese per comparti stagni iper-etnici, penalizzando i partiti interetnici (come i Verdi) e rendendo vano il voto trans-etnico (gli italiani che votano partiti «tedeschi» e viceversa). Insomma, anche se votati — ipoteticamente — solo dal 5% degli elettori i rappresentanti italiani si assicurerebbero il 25% degli scranni, i rappresentanti tedeschi il 70% e quelli ladini il 4%, cancellando così le conseguenze dell’astensionismo — ma, probabilmente, aumentandone ulteriormente le dimensioni per la frustrazione che un tale provvedimento provocherebbe nell’elettorato.
Il PD, incapace di accettare il responso delle urne, sarebbe dunque pronto a stravolgere il sistema democratico, aumentandone ulteriormente l’impronta etnica per non rinunciare a una poltrona: una vera e propria follia.
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