Sul quotidiano A. Adige è apparsa una lettera aperta*, cui vorrei qui rispondere, a firma di Thomas Rizzoli e indirizzata alla consigliera provinciale Eva Klotz di Süd-Tiroler Freiheit. Ovviamente non rispondo a nome e per conto della consigliera, anche perché non ne condivido il progetto politico. Ma sono comunque dell’avviso che la lettera di Rizzoli contenga alcuni (s)punti interessanti, ai quali va data una risposta — e che mi consentiranno di illustrare ancora una volta quali sono le coordinate di un progetto «alternativo» come il nostro.
Gen.le On.le Klotz,
prima di tutto La ringrazio di avermi scritto.
Piccolo, insignificante appunto iniziale: non mi risulta che i consiglieri del nostro parlamento sudtirolese si fregino del titolo di «onorevole».
Mi permetto di farLe qualche domanda da semplice cittadino altoatesino (o sudtirolese, se così preferisce), quale sono.
Primo: sorge spontaneo chiedersi nel ricevere questa lettera se le spese di queste 400.000 lettere sono a carico del suo partito, o vengono poi rimborsate dalla provincia come “rimborso elettorale”?
A questa domanda mi sembra che il partito di Eva Klotz abbia già risposto: se non erro, le lettere sono state finanziate con soldi privati, ma è stata usata la tariffa postale più vantaggiosa di cui godono i partiti durante la campagna elettorale. Certo, un piccolo trucco, ma d’altronde in cambio hanno rinunciato alla classica propaganda elettorale e quindi non dovrebbero esserci costi aggiuntivi per la collettività.
Ben più problematico, come ho avuto modo di scrivere, è il fatto che un partito si appropri di un tema che invece appartiene a tutti i cittadini sudtirolesi (di tutte le lingue e di tutte le provenienze).
Secondo: Io da qualche anno vivo in Austria, e devo ammettere che sto bene. Ma se il Sudtirolo facesse di nuovo parte dell’Austria, chi ci garantirebbe l’autonomia e l’indipendenza con tutti i vantaggi annessi di cui godiamo al momento? Chi ci garantirebbe che in Austria staremmo per forza meglio che in Italia? Anche se la qualità della vita in media in Austria è superiore e in Italia ci sono più disagi, chi ci garantirebbe che noi, come popolazione sudtirolese staremmo meglio in Austria?
Lo so che con la lettera che ha mandato Lei chiede solo le vogliamo avere la possibilità di decidere, e non chiede direttamente se vogliamo staccarci dall’Italia, ma lei negli ultimi anni è stata fin troppo chiara riguardo alle sue idee.
Le garanzie in politica non esistono. Come non si può garantire che staremmo meglio in Italia (e nemmeno che l’autonomia continuerà a esistere anche in futuro), non si può nemmeno garantire che staremmo meglio in Austria o come stato/regione indipendente in seno all’UE. Quel che si può fare in una democrazia è prefigurare degli scenari e far decidere alla popolazione, liberamente e senza drammi.
Noi di ad esempio proponiamo un futuro lontano da tutti gli stati nazionali (dunque sia dall’Italia che dall’Austria, per citare le due opzioni più gettonate), perché crediamo che con ciò si aprirebbero prospettive nuove e migliori, soprattutto per una realtà plurilingue come la nostra. Certamente sarebbe necessario garantire, tramite disposizioni adeguate, che nessuno debba temere sopraffazioni.
L’opinione personale della signora Klotz in questo contesto non conta nulla — anzi, conta esattamente un voto, come quello di qualsiasi altro cittadino. Se il suo partito ottenesse un referendum ufficiale sarebbe sempre l’intera popolazione a scegliere quale modello preferisce.
Terzo:
Partiamo dal presupposto che in Austria staremmo meglio che in Italia. Lei ha sempre dichiarato di fare una “Volkstumspolitik”, cioè una politica basata sulla cultura di un popolo, quello tirolese. Chi garantirebbe alla popolazione sudtirolese di lingua italiana o ladina, che in Austria avrebbe la possibilità di mantenere la propria lingua e cultura? Non ci sarebbe di nuovo il problema di una minoranza non rappresentata? Chi ci assicura che l’Austria sia pronta ad affrontare le problematiche di un’altra minoranza?
Questa è esattamente la ragione per cui noi di rifiutiamo il cosiddetto «ritorno» all’Austria — si tratterebbe infatti solo di un’inversione dei rapporti fra maggioranza e minoranza, senza dare una prospettiva nuova e diversa alla nostra specifica realtà.
Prima di chiudere, con tutta umiltà e dal basso della mia ignoranza, mi permetto un’osservazione personale. L’Alto Adige ormai da 94 anni fa parte dell’Italia. Capisco che Lei come altri non si senta italiana. A causa della lingua e della cultura diversa. Ma un milanese non ha un dialetto e una cultura diversa da un palermitano? E non sono tutti e due italiani? Così come in Austria un viennese ed un tirolese, o in Germania un berlinese ed un bavarese?
Paragonare le differenze (linguistiche e culturali) fra un milanese e un palermitano o fra un viennese e un tirolese con quelle fra milanesi e sudtirolesi non ha sinceramente alcun senso. Se il Sudtirolo gode di un’autonomia nello stato italiano ciò è dovuto proprio al fatto che a) lo stato italiano si definisce secondo criteri nazionali (lingua e cultura comuni) e che b) il Sudtirolo rappresenta un’eccezione a questo criterio nazionale.
Ed in quanto pensiamo che
- gli stati nazionali rappresentano ormai un’idea vecchia e superata dalla storia e che
- l’eccezionalità del Sudtirolo rispetto al concetto «nazionale» abbia bisogno di risposte completamente diverse
cerchiamo di proporre un modello alternativo.
La storia ci insegna che possiamo essere sudtirolesi ed italiani allo stesso tempo. Non mi fraintenda, non sono un cittadino italiano patriottico, tutt’altro. Appartengo al gruppo linguistico tedesco, anche se ho un cognome italiano. Quello che voglio dire è che in questi 94 anni il Sudtirolo è diventato l’incrocio di due culture, se vogliamo di due mondi. Una cosa stupenda. E chi per esempio ha la mamma pusterese ed il papà calabrese, cosa dovrebbe fare? Non è italiano quanto sudtirolese? Perché costringerlo a scegliere. Siamo italiani e tirolesi, allo stesso tempo, che lo volgiamo o no. Dati di fatto.
Nessuno sarà costretto a scegliere fra «italiano» e «tirolese», per il semplice fatto che in un ipotetico referendum di autodeterminazione sarà possibile optare per il mantenimento dello status quo — e se davvero l’autonomia rappresenta il modello migliore, la maggioranza delle persone deciderà di mantenerla. Piuttosto invece è l’odierna autonomia a richiedere un’indicazione di appartenenza chiara: tedesco, italiano o ladino.
Noi siamo convinti che solo una realtà decisamente plurilingue (e dunque lontana dagli stati nazionali e dalle norme di tutela di cui oggi necessitiamo) sarà capace di portare a una vera sintesi fra le varie anime che rappresentano il nostro patrimonio. Senza «garanzie», ma con la certezza che in una democrazia matura siano le persone a dover decidere. Liberamente.
La ringrazio per il tempo a me dedicato e mi farebbe piacere una Sua risposta, anche se so che non ha il tempo di rispondere ha (sic) 400.000 lettere.
Distinti saluti
Thomas Rizzoli
*) La versione qui commentata è quella completa, non quella accorciata apparsa effettivamente sul giornale.
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