Mauro Minniti (de La Destra, già PDL, già AN, già MSI) non è solamente un pendolare fra i partiti politici, ma anche quel che potremmo definire un pendolare fra democrazia e fascismo. Da quando non ricopre più l’incarico di presidente del Landtag, del quale lo aveva investito l’SVP (prediligendolo ad altri candidati ben più idonei, come Riccardo Dello Sbarba), il pendolo è tornato ad assestarsi su posizioni estreme, al di fuori del consenso democratico.
Così ad esempio sulla pagina internet del partito di Minniti («suo», perché da lui costruito nella nostra regione) è apparso un «documento» che definire vomitevole è forse troppo poco; l’articolo, a firma di un tale Emilio Giuliana e intitolato «integrazione-disintegrazione» contiene affermazioni palesemente razziste delle quali vorrei qui citarne tre:
Il secondo principio è che si devono ugualmente salvaguardare i diritti «delle società di approdo degli stessi emigrati»: diritti non solo alla sicurezza ma anche alla difesa della propria integrità nazionale e della propria identità culturale, storica e razziale.
Ci sono dei «professionisti dell’anti-razzismo» che manipolano pericolosamente la lotta alla xenofobia sfruttandola per diffondere il relativismo culturale, cioè l’idea che tutte le culture sono uguali e che non esistono culture migliori o peggiori di altre.
Ma, a prescindere dal fatto che presentare il colonialismo come soltanto dannoso e malvagio è piuttosto unilaterale e storicamente discutibile, non c’è nessuna prova convincente che sia meno costoso per l’Europa e più proficuo per il Terzo Mondo trasferire da noi milioni d’immigrati extra-comunitari piuttosto che destinare le stesse risorse ad aiutarli nei loro Paesi d’origine.
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