di Fabio Rigali
Dopo aver letto l’articolo «Via Tridentina» sull’Alto Adige del 15 maggio sono stato preso dallo sconforto: trovo francamente imbarazzante sia la logica ad esso sottesa, sia le argomentazioni. Per legittimare l’intitolazione di una via alla brigata “Tridentina” si è infatti ricorsi all’espediente puerile di raccogliere pareri favorevoli tra i cittadini “tedeschi”, confermando implicitamente l’impostazione strettamente etnico-nazionalista della discussione. Ma purtroppo lo si è fatto anche esplicitamente, ventilando la tesi che il gruppo linguistico italiano si identifichi con un corpo militare e che la cosa non debba costituire nulla di strano: si tratta di un’anomalia mostruosa ed il fatto che molti cittadini degli altri gruppi vi si siano abituati, non la rende di una virgola più accettabile. Mi vengono in mente le grandi parate novecentesche in cui i popoli europei giubilavano al passaggio del loro esercito, ritenuto “l’orgoglio della nazione”: militarismo e nazionalismo questo, in sostanza, sarebbe in Sudtirolo il vero “compromesso per la convivenza”.
Dietro la sublimazione dei fasti delle parate, delle belle uniformi e delle mostrine si cela però, oggi come ieri, la cruda realtà della guerra, che oggi sempre più spesso viene ribattezzata “missione di pace”, a condizione che gli spari, le bombe, il sangue ed i corpi straziati siano lontani dai nostri occhi. E’ questo l’altro argomento che non condivido: si sottolinea più volte come gli alpini siano, quasi a priori, una forza di pace; lo sarebbero se avessero dei fucili a salve e se non si trovassero impegnati a migliaia di chilometri da casa loro in vari teatri di guerra. Pare invece che proprio la brigata “Tridentina” fosse impegnata attivamente in vari conflitti, tra cui anche l’aggressione dell’URSS a fianco dei nazisti; storia, si dirà, e pertanto degna di essere ricordata. Non voglio rubare il mestiere agli storici, ma trovo che tra memoria e celebrazione debba essere mantenuta una linea riconoscibile. Ritengo poi che alcuni esempi siano più validi di altri, anche se nella storia, come nella vita, non tutti gli attori si prestano ad essere catalogati senz’altro in buoni e cattivi. Con questo voglio dire che, nonostante sicuramente moltissimi alpini avranno prestato servizio secondo i migliori ideali, la brigata nell’insieme non si delinea come chiaro esempio di “funzione di pace”, come vuol farci credere l’Alto Adige.
Pertanto la mia controproposta, posto che si voglia ricordare dei soldati, è quella di intitolare piuttosto la via all’ SS-Polizeiregiment “Brixen” che, a dispetto del nome, essendo in gran parte formato da Dableiber e cattolici convinti, si rifiutò coraggiosamente di giurare fedeltà a Hitler. Ironia del destino, anche questo reggimento finì a combattere sul fronte sovietico, come la “Tridentina”; in questo caso si trattò però di una dura punizione per la fedeltà rifiutata: male equipaggiati e peggio armati, questi soldati pagarono a carissimo prezzo la loro scelta etica. E’ una storia edificante che pochissimi sanno e che, ritengo, meriterebbe di essere approfondita, raccontata e celebrata molto di più di altre. Ma non mi faccio illusioni a riguardo: so già che la mia opinione verrà letta attraverso la lente etnica ed incasellata nello spazio riservato a quelli che sono “di lingua italiana e Schützen”.
Cëla enghe: 01
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