Nel 2011 l’associazione bolzanina del Teatro “Cristallo” dedicherà una serie di eventi ad Alexander Langer, figlio del Sudtirolo che reinterpretò in chiave moderna la vocazione all’incontro. Per l’occasione, un fascicolo raccoglierà i ricordi di quanti – pur non avendolo conosciuto personalmente – intravvedono in lui la viva testimonianza d’una possibilità. Mi hanno chiesto di realizzare uno scritto e ho accolto volentieri l’invito: un omaggio disincantato al dimenticato politico (anche “italiano”) nell’anno del 150° compleanno d’Italia. Val.
Alexander Langer, il pensiero organico d’un “classico non letto”.
di Valentino Liberto
Sulle tavole degli italiani, imbandite per il centocinquantesimo dall’Unità d’Italia, i latticini del Sudtirolo sono una costante. Chi non ha mai gustato lo yogurt di Sterzing/Vipiteno alla frutta, dall’etichetta perfettamente bilingue e con marchio «Qualität Südtirol»? In tempi non lontani, un altro vipitenese “doc” – pur estraneo alle logiche di mercato – tentò di esportare oltre-frontiera un prodotto tipico sudtirolese altrettanto pregiato e “plurilingue”. «Da decenni mi sento impegnato nello sforzo di “spiegare il Sudtirolo”; di coinvolgere l’attenzione e l’apporto di amici democratici alla causa dell’autonomia e della convivenza nella mia terra. […] Leggo nella situazione sudtirolese una quantità di insegnamenti ed esperienze generalizzabili ben oltre un piccolo “caso” provinciale. Essere minoranza, senza per questo chiudersi in lamentele e nostalgie; coltivare le proprie peculiarità, senza per questo scegliere il “ghetto” e finire nel razzismo; sperimentare le potenzialità di una convivenza pluri-culturale e pluri-etnica; partecipare a movimenti etno-nazionali, senza assolutizzare il dato etnico; […] a volte penso che tanti aspetti del futuro europeo potrebbero essere sperimentati e verificati in corpore vili, con grande profitto. Peccato che la politica dominante vada in direzione opposta e che così pochi al di là dei nostri confini provinciali se ne accorgano»*. Quanta attualità in queste parole? Non è forse muovendosi secondo il paradigma «pensare globalmente e agire localmente», oltre nazionalismi e localismi, che potremo realizzare una maggiore coesione tra le articolazioni geografiche del costituendo calderone post-nazionale europeo? Si tratterebbe, oggi come allora, di trovare lo spazio per spiegare meglio le peculiarità sudtirolesi, di procedere nella contaminazione diplomatica dello Stato d’appartenenza, affinché comprenda e includa le sue identità plurali, i microcosmi italiani, le diverse “Italie”.
Per saltare gli steccati, ci vuole forza nelle braccia. Da giovane, Alexander Langer attraversò a nuoto un tratto del Lago di Garda. Ma non basta la poderosa energia degli arti per compiere un’impresa simile: servono testa, cuore, gambe, leggerezza ed equilibrio. Le stesse qualità che accompagnarono il ventenne Alex oltre le Colonne d’Ercole di Salorno, la frontiera del “mondo conosciuto” dai sudtirolesi. Appena giunto là fuori, in Toscana, iniziò a descrivere la discesa agli Inferi della “questione altoatesina” come la lenta e faticosa risalita all’Eden di un’Autonomia interetnica; fu abile nello spiegare il Sudtirolo padroneggiando la lingua di Dante e viceversa nel raccontare l’Italia ai “tedeschi”. Il viaggiatore leggero fisicamente “fuori” dall’Alto Adige/Südtirol, allontanatosi per poi finire “esiliato” dalla sudtirolesità stessa, non andò via perché stanco del provincialismo soffocante o intenzionato a “tradire” la terra d’origine; esplorò nuove strade da percorrere, l’ecologia, i movimenti per la pace e l’Europa, “importando” a casa quanto maturato nel corso del viaggio, quali esperienze di partecipazione, protesta e spirito critico. Eppure, il pensiero di Alex – messo da parte e sepolto sul fondo d’un mare nostrum inesplorato – provoca ad ogni ricorrenza una passiva sedimentazione di celebrazioni. Un “culto della dimenticanza” praticato in gran segreto da un manipolo di discepoli, i quali non riconoscono altro messia al di fuori di lui e redigono vangeli che mai nessuno leggerà. Alexander Langer è un “classico non letto”: neutralizzato, storicizzato e de-mitizzato, eppure mai del tutto decostruito. Si parla di lui come d’un personaggio del passato che guardava troppo in avanti, proiettato in un futuro che starà per sempre dinnanzi al nostro presente. Perciò, la letteratura langeriana – fraintesa nella sua essenza tutt’altro che utopista – viene evocata con retorica rassegnazione, quando i suoi scritti sono un programma politico organico, privo di esercizi di stile. Una politica di base, restia nel scendere a patti con la partitocrazia più spietata o con facili soluzioni populiste: impegnarsi politicamente significò per lui cambiare ed evolvere di continuo le proprie opinioni, metterle in discussione abbattendo ogni pregiudizio e barriera mentale, spaziale, temporale e non cadendo in atteggiamenti presuntuosi, nella scontata supponenza dei “migliori” (tipica a sinistra) tronfi dell’arroccamento in una torre d’avorio, né divenire vittime (o carnefici) dell’indignazione anti-politica, condita da facili moralismi e dall’eterno giustizialismo, verso cui Langer mosse più di una critica. Un esempio straordinariamente attuale di dedizione e sacrificio all’esercizio della ragione, di “autonomia dinamica” del pensiero individuale e della sua conversione in azione collettiva.
L’amico Gabriele Di Luca ha scritto: «Quanto poco ci abbiamo pensato, pur pensandoci molto, ad Alexander Langer. Abbiamo fatto di un albero, dalle radici profonde, dal fusto robusto e dalle fronde ombrose, il ramo storto della nostra umanità appassita. Un paesaggio in movimento è diventato un fotogramma immobile. Il Langer del 1981, immaginato in lotta per cogliere vittorie che noi stessi non avevamo il coraggio e la capacità di conquistare, quel Langer ci aveva lasciato (ma nel senso che ci aveva lasciato indietro) molto prima della sua triste dipartita. Abbiamo smesso di seguirlo diffidando o semplicemente ignorando i suoi sforzi nel cercare altre vie, più impervie e sfuggenti, della “sua” via (o meglio quella che noi ritenevamo fosse tale). Così l’abbiamo tradito prima di tutto non corrispondendo al suo imperativo: tradite voi stessi, non arrendetevi alla semplicità di qualche facile formula (non arrendetevi, soprattutto). Questa è la vita e la via di Langer dopo la sua morte. Cioè la nostra vita, la nostra via ancora con lui. Noi sudtirolesi, quella via, ce l’abbiamo difronte. Non resta che percorrerla». Ancora una volta, proviamo ad accogliere quest’invito.
*Alexander Langer, esattamente 25 anni fa (“Minima personalia” 01.03.1986)
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