In riferimento all’ottimo articolo di Valentino Liberto (Mussolini come il Minotauro) espongo le mie obiezioni, prendendo spunto proprio dalla citazione di Klaus Wagenbach. A cui contesto una lettura superficiale e unidirezionale. Scrive l’editore che a differenza della Germania l’Italia esibirebbe ai propri figli le vergogne del passato.
Ma non è affatto vero che a Berlino l’architettura nazista sia stata fatta saltare in aria. Esempi lampanti ne sono l’immenso e centralissimo (ex) aeroporto di Tempelhof, il ministero delle finanze (già Reichsluftfahrtministerium) o l’Olympiastadion, voluto da Hitler in occasione dei giochi olimpici del 1936, e che anche senza croci uncinate non hanno perso nulla della loro impressionante imponenza. Su tutti i monumenti (architettonici e non) è stato fatto un approfondito lavoro di storicizzazione. Allo stesso tempo i riferimenti ai crimini nazisti sono onnipresenti in tutta la capitale: Targhe coi nomi dei campi di concentramento, anche nei luoghi più turistici come il Kurfürstendamm, scioccanti esposizioni — gratuite — sui crimini nazisti (Topographie des Terrors! a due passi da Potsdamer Platz), monumenti alle vittime dell’Olocausto e alle deportazioni (vicino a Brandenburger Tor e davanti ad alcune delle stazioni ferroviarie), museo ebraico e via discorrendo.
La vera differenza tra i due paesi, a mio avviso, è che in Germania le vergogne del passato vengono esibite — eccome — ai figli in quanto vergogne, senza scampo, senza possibilità di farne un vanto. In Italia la permanenza non solo dell’architettura, ma anche di monumenti inneggianti al fascismo (e non parliamo nemmeno della particolare sensibilità di apporli ancora negli anni cinquanta, in un territorio vittima di politiche di snazionalizzazione!) senza alcun commento ed alcuna contestualizzazione non testimonia la capacità di storicizzare il fascismo, quanto invece la mancata volontà di confrontarsi diffusamente e pubblicamente con il proprio passato. I panni sporchi si lavano nei dipartimenti di storia o nei libri. In Italia, specialmente a Roma (dove i fascisti stravincono le elezioni scolastiche, se può essere un indicatore), i figli si stanno facendo vanto delle «vergogne» del passato.
Per me non c’è alcun dubbio che tra Germania e Italia per ora i risultati danno ragione alla via tedesca. Per quanto riguarda l’Italia, lo storico svizzero Aram Mattioli ne ha fornito un’analisi impeccabile.
Il problema esposto sopra riguarda purtroppo anche il Sudtirolo. Se la via italiana avesse funzionato, se, cioè, le vergogne del passato venissero considerate tali almeno dalle nuove generazioni, ben pochi avrebbero qualcosa da obiettare. Ha ragione Valentino che facendo maturare una coscienza comune i monumenti potevano anche restare — come però si sarebbero anche potuti togliere, senza che questo avrebbe infiammato gli animi. Invece, anche dopo sessant’anni vengono diffusamente considerati non testimoni di una vergogna, ma simboli dell’italianità di questa terra, «patrimonio ideale degli italiani» (Tomada). Senza le proteste da parte «tedesca» assisteremmo ancora oggi alle sfilate militari in occasione del 4 novembre, e sono passati pochi anni da quando un ministro della repubblica fece depositare una corona davanti al monumento come atto di ripicca.
Si impone dunque una domanda, per quanto retorica (e già implicitamente anticipata da Gabriele): Ma quanto tempo si può attendere la maturazione di una coscienza democratica e antitotalitaria? Cinque anni? Dieci? Anche venti. Ma se dopo sessant’anni i monumenti non vengono ancora considerati testimonianze pietrificate di un periodo buio (ma, appunto «patrimonio ideale»), spiace, ma si giustifica una soluzione anche unilaterale (per non dire che si fa impellente).
Almeno un risultato ora lo si è già raggiunto: La maggioranza dei partiti italiani si sono autocondannati alla dipendenza da Roma, hanno sempre contato sulla «loro» capitale, perfino per risolvere le proprie beghe interne. Si aspettavano la manna dal cielo e sono stati scaricati per due poltrone tra Roma e Bolzano. Ma ora anche la destra si è resa conto che la partita o la gioca qui o non la gioca. E finalmente se ne sta parlando come non se n’era parlato mai: Apertamente.
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