di Gabriele Di Luca
Talvolta la ragione non basta. Occorre il caso, per far progredire la storia. La vicenda del fregio mussoliniano che dagli anni cinquanta campeggia sul frontone del palazzo delle finanze di Bolzano – finito nel paniere delle richieste abilmente sottoposto dalla Svp al pericolante ministro Sandro Bondi – sta lì a dimostrarlo.
Per quanti anni s’è discusso inutilmente sulla sua conservazione o sulla sua rimozione? Al pari degli altri simboli dell’epoca fascista, l’ingombrante opera di Hans Piffrader ha rappresentato, fin dal giorno della sua inopportuna collocazione, una delle testimonianze più tangibili dello spaesamento storico e culturale del gruppo linguistico italiano in questa terra, rendendolo con ciò un facile e inevitabile bersaglio del nazionalismo di marca tedesca. Una sobria e razionale analisi del suo evidente significato avrebbe consigliato di provvedere per tempo al suo smantellamento o al suo trasferimento in un contesto museale. E questo avrebbe dovuto avvenire indipendentemente dalle ovvie pressioni esercitate dai suoi detrattori. Invece si è sempre preferito tergiversare, confondendone il valore documentale con la difesa di una dubbiosa trincea identitaria. Finché, per l’appunto, soltanto il caso avrebbe potuto sbloccare la situazione.
Certo, si dirà che la messa in discussione di questa opera è avvenuta grazie all’affanno di un ministro a caccia di voti e disposto così a firmare qualsiasi cosa, pur di salvarsi. Circostanza imbarazzante. Ma chi esprime rammarico e pensa che le cose sarebbero potute maturare ugualmente, magari intessendo trattative e argomenti alla ricerca di una soluzione più “condivisa”, farebbe meglio a interrogarsi sulle proprie responsabilità e sul proprio ritardo. Prendiamo per buono l’involontario “regalo”, invece. Senza il suo duce a cavallo, posto che le promesse di Bondi vengano mantenute, Bolzano non diventerà meno “italiana” (o più “tedesca”). Diventerà solo migliore. Liberata dai suoi fantasmi di pietra, adesso potremmo davvero cominciare a proiettare la città verso il futuro, oltre le secche di un’epoca che qui da noi è durata fin troppo.
Sono perfettamente consapevole che l’eventuale scomparsa del duce non risolverà molti dei problemi legati ai rapporti tra i gruppi linguistici. Essi troveranno forse altre forme per rinascere. Ma anche se la convivenza non sarà mai un risultato acquisito per sempre, cioè privo di contrasti residui, è necessario cogliere ogni occasione – anche un po’ casuale, come questa – per renderla almeno più probabile e duratura.
(La versione apparsa oggi sul Corriere dell’A.A. differisce leggermente da quella pubblicata qui.)
Cfr.: 01
Scrì na resposta