Comentârs

8 responses to “Willkommen, Alpini!”

1. 

   We

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   27.04.2007 – 13:18

   Lieber Pe,

   mich berührt der deutschtiroler Nationalismus (beispielsweise mancher Schützen) viel stärker als der (potentielle) Nationalismus der Alpini.

   Ich denke, dass zumindest ab den 80er Jahren viele Gräuelmärchen über die Südtiroler beim italienischen Heer verspätete Glorifizierungen sind. Mein Bruder, aber auch einige meiner Cousins, haben z.B. ganz ruhig erklärt, dass sie nicht schwören können/wollen und sind deshalb ganz einfach am entsprechenden Tag zum Dienst eingeteilt worden. Der Vorgesetzte meines Bruders hat ihm oft über die “valorose truppe alpine austriache” geschwärmt und bedauert, dass mein Bruder beim italienischen Heer keine Karriere machen wollte.

   Und die Alpini werden in Afghanistan, im Kosovo und in Bosnien auch nicht anders sein als die dort ebenso stationierten Deutschen und Österreicher. Im Schlechten wie im Guten.

   Vielleicht geht es ja Schützen und Alpini ja gleich: Die Alpini rekrutieren sich bereits zum größten Teil aus Süditalienern, die Schützen müssen ihre Rekrutierungsfähigkeiten wohl noch ausbauen.

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2. 

   wiesion

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   27.04.2007 – 14:38

   tatsächlich ist mir hier der “poanerhaufn” eingefallen und die zahlreichen heldenhaften alpini die in der legendären, geschichtsträchtigen schlacht um die molser hoad gestorben sind. die gebeine stammen nur von soldaten die dort gestorben sind, im kampf für das mächtige, militärisch zu jeder zeit überlegene italien, welches die vision eines kulturimperiums hatte. so war es auch durchaus legitim und vor allem nötig, den kulturlosen und barbarischen tirolern lesen und schreiben sowie ein mindestmass an kultur beizubringen.

   ich wollte schon des öfteren an den gedenkfeierlichkeiten am “poanerhaufn” teilnehmen, war mir jedoch aus termintechnischen gründen nicht möglich, wirklich schade dass ich solch gelegenheit regelmässig verpasse, der wahrheit der geschichte, der einzigen wahrheit, meinen respekt zu zollen. ich beneide jeden anderen der es geschafft hat dort zu sein um das wahrhaftigste aller gefühle zu spüren.

   ich unterstütze, so wie jeder südtiroler mit anstand und ehrgefühl, auch voll und ganz das heeresmuseum in brixen, einer pionierstadt der “kulturalisierung” durch italien, ich finde sogar das ist viel zu wenig was wir für die helden des gerechtfertigtsten aller kriege tun. wir sollten in jeder ortschaft, welche mehr als 500 bürger zählt, statuen ihnen zu ehren aufstellen, vergoldete versteht sich. mit einer grossen tafel “für den import der kultur, rechtschaffenheit, respekt und vor allem der menschenrechte”. man sieht, all diese werte wurden uns durch diese helden, ja sogar in manchen fällen märtyrer (ja, auch kulturlose waffen können töten), gebracht und sie haben sie selbst vorgelebt, mit eiserner härte, tugendhaft und voller überzeugung.

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3. 

   Étranger

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   30.04.2007 – 14:34

   Quello che ho notato io della festa degli alpini. Verso le dieci di sera, due giorni fa, me ne stavo sul terrazzo e ho visto che un uomo (da me qualificato prontamente come “alpino” o “ex-alpino”) si è appartato, più o meno a venti metri da casa mia, e ha eseguito una pisciata molto lunga. Avrà  pisciato almeno per due minuti. Ovviamento non l’ho cronometrato. Ma così, misurando il tempo col semplice senso interno, mi parevano due minuti.

   Mi ricordo che al tempo della recente grande adunata degli Schützen, sempre qui a Bressanone, il quotidiano Alto Adige pubblicò irriverenti fotografie di uomini che innaffiavano di orina i muri della città .

   Mi pare che il tratto saliente di queste manifestazioni sia sostanzialmente questo. Si piscia molto e lo si fa preferibilmente all’aperto. Tutto il resto è fuffa.

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4. 

   Karel

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   11.05.2007 – 22:35

   Premetto, ho fatto l’alpino come gran parte dei sudtirolesi di entrambi gruppi linguistici, d’altra parte allora non c’era l’alternativa del servizio civile, c’era poco da scegliere. La naja l’ho vissuta come tempo perso, inutile sul lato pratico ma interssante dal lato umano. Per solidarietà  si era creata una rete di amicizie trasversali tra giovani di tutte le estrazioni sociali e provenienze. A Brunico si usciva di sera in compagnia di amici siciliani, lombardi, piemontesi e sudtirolesi. Si festeggiava spesso e si discuteva animamente su tutti i temi allora attuali. Si frequentavano le assemblee dei proletari in divisa, c’era molto entusiasmo. Ma quel che ricordo con maggiore intensità  era che stando fianco a fianco, il bergamasco o il trentino della val di Non o il sudtirolese della valle Aurina, si accorgevano di non essere molto diversi e la diffidenza reciproca iniziava a cedere. Senza rinpiangere il servizio di leva obbligatorio, mi chiedo spesso quali siano ancora le occasioni per un giovane senza particolari studi fuori provincia, a vivere fianco a fianco esperienze simili. In rare occasioni mi ritrovo ancora con gli amici di allora, senza la retorica militare dell’Ana, ma ricordando quell’anno di discussioni e bevute tra persone che non avrei mai avuto occasione di conoscere.

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5. 

   Karel

   Publiché

   11.05.2007 – 23:12

   A proposito di raduni cito un articolo pubblicato su “La Stampa” di oggi:

   “Perchè sono diversi da tutti gli altri” di Gianni Oliva

   Centinaia di migliaia di “penne nere” che sfilano, brindano, suonano, festeggiano: ogni anno il rito dell’adunata degli Alpini si ripete con uno straordinario successo di partecipazione, indipendentemente dal fatto che la sede scelta sia una città  delle Alpi come Cuneo o lontana e insulare come Catania. In Italia non esiste nessuna manifestazine popolare “laica” che possa contare su presenze così numerose e costanti.
   Il fatto non è casuale e la sua spiegazione affonda le radici nella storia stessa degli Alpini. Quano il corpo venne costituito, nel 1872, gli eserciti non erano soltanto strumenti per una guerra difensiva o offensiva, ma anche i garanti dell’ordine pubblico interno. Per questo compito, che implicava l’intervento repressivo contro braccianti che occupavano le terre o contro manifestazioni di piazza, erano necessarie truppe politicamente affidabili, educate all’obbedienza da una lunga permanenza sotto le armi e sopratutto impermeabili ai contatti con la società  esterna.
   In una realtà  socialmente irrequieta come l’Italia del secondo Ottocento, gli Stati Maggiori risposero a questa esigenza di affidabilità  adottando il sistema del “reclutamento nazionale”: i reggimenti erano formati con giovani reclutati da due o tre regioni e mandati in servizio in un’altra ancora, in modo che non ci fossero rapporti tra la truppa e i civili e non si dovessero impiegare un reparto di siciliani per reprimere una rivolta a Palermo, o uno di toscani per fronteggiare i minatori della Lunigiana.
   Per le truppe alpine venne invece adottato il “reclutamento territoriale”: giovani provenienti da una stessa vallata prestavano servizio nel territorio in cui erano nati e cresciuti. Questo trattamento di eccezzione nasceva da considerazioni militari (una difesa in alta quota richiede uomini abituati al clima, alla fatica dello spostamento in montagna, alpinisti prima ancora che soldati), ma anche le valutazioni politiche: la regione alpina è sempre stata socialmente tranquilla, saldamente conservatrice, cattolica e monarchica, caratterizzata da una piccola proprietà  contadina poverissima ma incapace di ribellarsi.
   Le conseguenze di questo modello di reclutamento sono state molteplici. In primo luogo, la forte coesione interna dei reparti alpini, dove i legami tra gli uomini sono preesistenti alla vita in caserma: Prima che un compagno d’armi, il commilitone è l’amico cresciuto nelle stesse montagne, con il quale si parla lo stesso dialetto, che conosce le stesse persone, che canta le stesse canzoni: spesso è il compagno di lavoro, che al termine del servizio si ritroverà  negli stessi campi, nelle stesse cartiere o segherie di fondovalle.
   E’ evidente che i vincoli di solidarietà  e di amicizia tra questi soldati sono un prodotto spontaneo e non l’artificiosa creazione della retorica di caserma: ed è altrettanto evidente che la vita militare non produce una “cultura” nuova, ma si inserisce nel tessuto culturale preesistente, nutrendosi di elementi della tradizione che negli anni della leva vengono continuati e non stravolti. Non è un caso che l’immaginie oleografica degli alpini (il passo lento ma inesauribile, il fiasco di vino, il mulo, il gusto del cantare) si ispiri a motivi assai più “civili” che militari e che la letteratura (da Pietro Jahier, a Mario Rigoni Stern, a Nuto Revelli) sottolinei un cameratismo che poco ha in comune con lo “spirito di corpo” di militaresca memoria.

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6. 

   pérvasion

   Publiché

   13.05.2007 – 12:04

   Irgendwie widersprechen sich deine beiden Einträge, und das grundsätzlich.

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7. 

   Karel

   Publiché

   14.05.2007 – 21:59

   Le differenze tra la mia esperienza e quelle descritte da Gianni Oliva sono evidenti.
   Non ho mai partecipato ad alcun raduno dell’ANA, perché non riesco ad identificarmi in questa logica. Non mi interessa alcun monumento al valor militare di qualsiasi esercito. Mi infastidisce però paragonarli a dei nazionalisti o filo fascisti, perchè la realtà  è più complessa.
   Un raduno delle penne nere, visto a Cuneo ha un’altra valenza politica. Mentre sul palco delle autorità  a Bressanone prevalevano le rappresentanze politiche del centro destra, a Cuneo era diverso.
   E’ per questo motivo che ho copiato l’articolo pubblicato sulla Stampa, che evidenziava lo spirito civile ed antifascista ed i vincoli di amicizia e solidarietà .
   Anche sull’edizione di oggi dell’Unità  si legge degli alpini a Cuneo:
   Giorgio Bocca, che è un vecchio cuneese dice che gli alpini sono un corpo di antifascisti.
   La ministra ds Livia Turco dice: “per noi cuneesi gli alpini sono un pò la nostra famiglia. Cuneo è la città  degli alpini e della Resistenza alla quale le penne nere diedero un grande contributo. Non potevo mancare un appuntamento così importante e so che se mio padre non fosse mancato da poco, oggi sarebbe qui a salutare i suoi commilitoni”.
   La presidente della Regione Piemonte ds Mercedes Bresso dice: “Non bisogna stupirsi di tanta partecipazione, questa è una grande festa di popolo. Una grande tradizione delle genti di montagna che non volevano allontanarsi dalle loro terre e volentieri andavano tra gli alpini che, da veri montanari, sono rimasti apparentemente rudi ma estremamente generosi nel portare il loro soccorso ovunque che ne sia bisogno”.

   Avendo pure io trascorso alcuni mesi di CAR a Cuno, mi ricordo della penna bianca partigiana, un maggiore che girava in cortile tra i reparti raccontando del suo passato nella resistenza. Molti ufficiali di complemento erano degli antifascisti convinti, che non nascondevano le loro convinzioni politiche.
   Negli anni sessanta e settanta nei periodi di maggiore tensione a livello locale, mi ricordo dei corpi speciali con il basco nero. Non erano gli alpini a svolgere gli ingrati compiti di rastrellamento anti insurrezione.

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8. 

   Étranger

   Publiché

   15.05.2007 – 7:32

   Non vorrei turbare il clima serio della discussione, ma ricordo che Totò diceva: “sono un uomo di mondo, ho fatto tre anni di militare a Cuneo”.

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