In seguito alla provocazione, insulsa, degli Schützen sulla toponomastica storicamente stratificata — ma mai più ufficializzata dopo il 1922 — qua e là si torna a leggere: colpa dell’SVP, che non ha mai fatto nulla per centrare l’obiettivo. Ora posso anche capire che certi riflessi siano difficili da eradicare, ma se il refrain fino a pochi anni fa poteva essere almeno in parte pertinente, ormai è superato.
È vero che a un certo punto il partito di raccolta sembrava avere abdicato, ma poi (svegliato dagli attacchi del CAI) aveva cercato il compromesso, sino a raccogliere, nel 2012, il consenso del PD e l’astensione dei Verdi su una legge certamente superficiale e perfettibile, semmai troppo annacquata, ma che avrebbe sicuramente portato al riconoscimento della toponomastica soppressa.
Sono stati i governi centrali di Mario Monti prima, di Letta-Renzi-Gentiloni poi a sabotare il compromesso interetnico sudtirolese, facendo proprie le posizioni massimaliste (o forse dovremmo dire minimaliste? nichiliste?) dell’estrema destra italiana. Presentando ricorso alla Consulta (Monti) e rifiutando ostinatamente di ritirarlo (Letta, Renzi, Gentiloni), fino all’abolizione della legge.
Nel frattempo c’era anche stato il tentativo di risolvere — annacquando ulteriormente quanto previsto dalla legge provinciale — in commissione dei sei, abilmente affossato dal duo Francesco Palermo e Roberto Bizzo — quest’ultimo per un evidente calcolo politico, poi clamorosamente fallito in fase d’incasso, a ottobre 2018.
Victim blaming
Solo chi è in malafede o chi ritiene sacro il prontuario di Tolomei — ma: ex iniuria ius non oritur — può ancora sentenziare che la «colpa» della mancata reintroduzione della toponomastica «tedesca» e «ladina» sia dell’SVP. Lo era forse fino al 2012, ma ora certo non lo è più.
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