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Senza dubbi una doppia cittadinanza italo-austriaca potrebbe rinsaldare i legami fra le minoranze “austriache” – come si suol dire – con l’Austria. Dall’altra parte anche l’Austria si sentirebbe ancora più responsabile per i suoi nuovi “cittadini all’estero”. I sudtirolesi tedeschi e ladini comunque già oggi godono parità di diritti con i cittadini austriaci in numerosi settori grazie al cosiddetto “Gleichstellungsgesetz”. Dall’altra parte è l’autonomia della nostra provincia, garantita a livello internazionale, a cui è assegnato il ruolo di colonna portante per la protezione delle minoranze, e che non viene messa in dubbio da nessuno. È l’autonomia che consente a tutti i gruppi che condividono questa terra ad avere pari diritti e poter gestire la politica provinciale e locale di comune accordo, senza dover immaginarsi di essere cittadini di due stati diversi. Al governo di Vienna, infine, non tornerà facile soddisfare nuovi diritti e richieste anche finanziarie di cittadini residenti all’estero, conoscendo bene la situazione da tanti anni privilegiata del Sudtirolo.
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Nella nostra provincia la doppia cittadinanza italo-austriaca aggiungerebbe un’altra categoria alla stratificazione di cittadini presenti sul territorio, ma diversi per legge: cittadini appartenenti alle “minoranze austriache”, cittadini italiani “normali”, cittadini UE, extracomunitari e lunga residenza e quelli con permesso di soggiorno a breve scadenza. Per i cittadini già protetti si aprirebbe un nuovo schermo protettivo, mentre nullo o negativo sarebbe l’effetto per i cittadini di lingua italiana, talvolta ancora poco radicati nella realtà locale nonché per gli immigrati appena arrivati. Tutto questo in un’era in cui l’UE da tempo cerca di superare la doppia cittadinanza sia perché si vuole invitare gli immigrati ad una scelta definitiva della futura appartenenza statale, sia perché la cittadinanza europea comunque apre un’ampia gamma di diritti e possibilità a tutti i cittadini dei paesi membri UE. Inoltre, l’Europa sta costruendo un quadro di diritti fondamentali garantiti a livello internazionale per tutte le minoranze nazionali a cui hanno già aderito 37 stati.
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In Sudtirolo non c’è un urgente bisogno di procurare una tutela aggiuntiva a chi è già protetto tramite l’appartenenza ad un altro stato, ma il bisogno di creare più legami al proprio territorio per tutti coloro che ci vivono. Infatti, è la “cittadinanza provinciale” che non è ancora abbastanza sentita non solo dagli immigrati degli ultimi vent’anni, ma anche da tanti altoatesini di lingua italiana, immigrati generazioni fa. Tanti italiani non parlano ancora sufficientemente tedesco, non si fidano della popolazione tedesca, come evidenziato dal referendum provinciale del 25 ottobre 2009, si aggrappano a simboli di trionfo e alla completa toponomastica tolomeiana, come se fosse elemento irrinunciabile per poter sentirsi a casa. In Sudtirolo, per i nuovi immigrati costruire legami ad una terra come la nostra è pure difficile. Non solo si vedono accolti con diffidenza ed ostilità da una parte della popolazione, ma devono sforzarsi ad imparare ben due lingue. Nella realtà dell’integrazione in Europa già la rispettiva lingua nazionale pone enormi problemi: tantissimi figli di immigrati in paesi con flussi migratori di periodi più lontani non sono riusciti ad imparare bene né la lingua di origine né la lingua del paese di residenza. Nel sistema di formazione e sul mercato del lavoro regolarmente finiscono sull’ultimo gradino. Dall’altra parte, la nuova immigrazione e le reazioni politiche hanno evidenziato una lacuna nel sistema autonomistico sudtirolese: ci sono pochi strumenti per gestire in modo autonomo i flussi migratori secondo i bisogni della Provincia.
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Una cittadinanza regionale, invece, non è un concetto astratto, nemmeno una pura utopia. Esiste in altre regioni autonome europee, ed è legata alla durata della residenza, alla conoscenza delle lingue regionali e alla cittadinanza. Questo tipo di “cittadinanza di terzo livello”, oltre quella nazionale e comunitaria, perfettamente in regola con la normativa UE, apre la strada non solo all’autorizzazione di praticare libere professioni, e all’acquisto di immobili, ma anche al diritto al voto attivo e passivo. In Sudtirolo difficilmente è pensabile l’introduzione di una formale cittadinanza regionale riferita alla provincia in questo caso. Ma ciò che conta sono le ragioni di fondo: si tratta di rafforzare il legame delle persone quà residenti con la loro regione e di creare un senso di comunità regionale condivisa. Si tratta di stabilizzare i movimenti migratori e di creare condizioni migliori per l’integrazione. In Sudtirolo, una cittadinanza regionale dovrebbe essere aperta a tutti: stranieri e cittadini, “vecchi” e nuovi immigrati. Potrebbe essere legata agli stessi criteri ora adottati da vari stati per l’acquisto della cittadinanza, ma anche per l’accesso ad alcuni settori del mercato di lavoro: la residenza, la conoscenza delle lingue ufficiali della provincia, l’interesse di stabilirsi a lungo periodo.
Una tale cittadinanza regionale non dovrebbe avere solo una funzione simbolica, ma anche effetti giuridici e quindi vantaggi pratici: potrebbe consentire ai nuovi cittadini regionali di accedere a settori del pubblico impiego, a contributi pubblici di diverso tipo (esempio: l’edilizia agevolata) ed il diritto al voto comunale e provinciale. Stabilizzerebbe la migrazione invitando le famiglie degli immigrati a costruirsi una prospettiva di lungo periodo nella nostra provincia. In due parole: non sarebbe decisiva la cittadinanza italiana ufficiale, che può seguire più tardi, ma una documento di appartenenza assegnato secondo criteri di prestazione personale quali la durata di residenza, la conoscenza delle lingue locali. In due parole: invece di aprire un nuovo ombrello per chi è già protetto, occorre sostenere l’integrazione di chi non è ancora sufficientemente protetto e legato alla comunità regionale.
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Fra pochi anni in Sudtirolo ci saranno circa 50.000 concittadini stranieri, il 10% della popolazione, che qui ci vivono e vogliono costruirsi un futuro per se e per i loro figli. La nostra provincia non ha bisogno di una massa fluttuante e poco gestibile di migranti che vanno e vengono, ma non riescono ad inserirsi nel tessuto sociale, ma di persone interessate ad essere cittadini nel senso più ampio possibile. La risposta a questo bisogno non è la doppia cittadinanza, ma nuove forme di cittadinanza regionale, aperte a tutti coloro che qui lavorano e intendono restarci. Quindi non urgono nuovi diritti e prestazioni a chi è già protetto, predisposti nello stato vicino, ma più radicamento e diritti a chi la vita ha costretto all’emigrazione e che hanno trovato nel Sudtirolo la loro seconda Heimat.
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