“Die Süd-Tirol-Autonomie ist tot” afferma il consigliere Sven Knoll della Südtiroler Freiheit nell’apertura del libello polemico “Südtirol – Die gestohlene Zukunft”, diffuso in 250.000 copie in tutto il Tirolo. A parte la generale superficialità e inconsistenza della sua argomentazione, mi hanno colpito affermazioni di singolare leggerezza. Non solo afferma Knoll che l’autonomia dinamica sarebbe morta, ma anche che istituti fondamentali della nostra autonomia quali la proporzionale etnica e la scuola in madrelingua vengano messi in discussione dal governo centrale. Poi ricorre all’esempio della Val d’Aosta per insinuare che un’autonomia regionale in generale sia incapace di salvaguardare una lingua e cultura minoritaria. Non solo gli aostani dissentirebbero, ma uno sguardo alla realtà di tutte le regioni autonome al mondo prova che tali affermazioni non sono altro che invenzioni gratuite. Non basta però accantonare questo libello come malriuscita polemica pro-autodeterminazione, ma occorre riflettere su come questo sistema possa essere ulteriormente ampliato e migliorato, partendo dall’attuale buon livello, confermato anche da analisi comparative e molti studi empirici. Infatti, fra chi invoca la secessione e chi si aggrappa al semplice status quo c’è anche una via di mezzo.
La nostra autonomia, istituita nel 1972 col “pacchetto”, e riformata nel 2001, ha raggiunto un ottimo livello di qualità sotto vari profili. Confrontando il nostro sistema vigente con i sistemi di altre regioni autonome in Europa (in tutto ci sono 37 in 11 paesi) e con regioni autonome in altre parti del mondo (ce ne sono almeno 61 in 20 paesi) si può tranquillamente affermare che la nostra Regione e Provincia autonoma si trovano fra i sistemi di autonomia territoriale più avanzati, fra quelli più completi in termini di protezione delle minoranze etnolinguistiche e più garantiti nel diritto nazionale e internazionale. Sia l’assetto politico generale nell’UE, sia le prospettive di sviluppo dello stato regionale italiano garantiscono condizioni di stabilità e ulteriore perfezionamento. Non da ultimo è stato istituito un sistema di finanziamento dell’autonomia, in vigore da 20 anni, che grazie ad un sovrafinanziamento strutturale permanente ha contribuito a portare la nostra provincia ai vertici delle graduatorie del PIL per abitante, di vari indicatori di benessere sociale e della capacità di spesa pubblica per abitante in Italia ed in Europa.
Ciò nonostante, va rimarcato che la nostra autonomia non è ancora completa, tanto meno perfetta. La dinamica dello sviluppo della nostra società e dell’ordinamento giuridico richiede di adattare lo Statuto di autonomia a nuove esigenze. La discussione di possibili emendamenti a questo sistema sono la Commissione dei 12 e dei sei (istituite secondo l’art. 107 Statuto), ma anche la società sudtirolese in generale è chiamata a rifletterci. Da un’analisi comparata degli statuti di autonomia nei vari paesi emerge che la nostra autonomia vanta ancora notevoli carenze che potrebbero essere integrate nel medio-lungo periodo, a beneficio di tutti gli abitanti di questa terra. Alcuni esempi:
- Trasformazione della Provincia autonoma di Bolzano in una Regione autonoma distinta da quello di Trento, la quale parimenti diverrebbe “Regione autonoma” a se stante, rimpiazzando la Giunta regionale con un comitato permanente di coordinamento, simile a quello appena istituito dell’Euregio. Non solo ci sarebbero dei vantaggi in termini di autonomia provinciale, ma soprattutto un enorme risparmio di almeno 200-300 milioni di Euro all’anno, a favore del contribuente.
- Passaggio alla Provincia dell’amministrazione della giurisdizione e dell’apparato della magistratura. Ne conseguirebbe un aumento delle disponibilità finanziarie e quindi più funzionalità ed un servizio migliore per i cittadini.
- Legato alla provincializzazione della giurisdizione è quella dei penitenziari. La Provincia autonoma spende somme ingenti in infrastrutture di dubbia utilità (esempio: safety park), mentre nel “safety park” di via Dante sono stipati 200 persone in condizioni poco decenti.
- Passaggio alla Provincia del compito della riscossione dei tributi erariali e amministrazione autonoma delle imposte. Ciò non solo consente una lotta più efficace all’evasione fiscale, ma in generale una gestione del fisco più vicina al cittadino, più bilingue, più conforme al principio di congruenza fra i contribuenti ed i beneficiari dei fondi pubblici, fra chi genera e chi usufruisce della spesa pubblica.
- La polizia potrebbe tranquillamente passare alla Provincia, di nuovo consentendo un servizio più vicino alla popolazione, un’attenzione maggiore al bilinguismo, un raccordo più stretto con la rete della protezione civile. Nei Paesi Baschi e in Catalogna la polizia è regionale e funziona benissimo.
- Una questione distinta dalla gestione dei tributi è l’autonomia fiscale-tributaria, cioè la competenza della Provincia autonoma di legiferare sulle imposte più importanti. La Provincia oggi in questo settore dispone di competenze molto esigue, ma sono numerose le forze sociali e politiche che ne richiedono un ampliamento per adeguare il fisco alle esigenze della nostra società ed economia. Si tratta di un discorso complesso che dipende dagli schemi generali di federalismo fiscale applicati in Italia.
- Per quanto riguarda la proporzionale nell’assegnazione di posti nel pubblico impiego è pensabile una sua sostituzione con i metodi di assunzione applicati a livello comunitario UE, in combinazione con il requisito di residenza. Sta a dire che invece della formale appartenenza a uno dei tre gruppi linguistici, l’effettiva capacità o padronanza linguistica diverrebbe l’elemento centrale, oltre all’abilitazione professionale (almeno per le carriere A e B). A questo scopo servirebbero concorsi non distinti per lingua, ma bilingui (con due prove in lingue diverse) in funzione del settore specifico che il candidato va ad occupare.
- La toponomastica dovrebbe trasformarsi in competenza primaria della Provincia, superando l’obbligo di mantenere il corpus di nomi Tolomeiani e consentendo la libertà di adeguarsi ai principi raccomandati dall’ONU.
- È pensabile un rafforzamento delle regole di governo di concordanza etnica (consociational government) istituendo l’obbligo di coinvolgere nella Giunta provinciale le forze politiche più rappresentative di ogni gruppo, a condizione che queste riconoscano lo Statuto di Autonomia.
- Vanno chiarite anche all’interno dello Statuto di Autonomia le facoltà legislative per le cosiddette “leggi statutarie” (democrazia diretta e sistema elettorale) per consentire ai cittadini di determinare questi elementi del governo democratico della provincia.
- Un’altra innovazione riguarda la politica sociale e del lavoro, partendo dalla necessità di disporre di nuovi strumenti sia giuridici sia sindacali per garantire salari più equi. Se ci fosse una competenza provinciale per le regole fondamentali dei contratti collettivi, le parti sociali potrebbero essere obbligati per legge di stipulare contratti integrativi provinciali, fissando livelli salariali più congrui al potere d’acquisto nella nostra provincia (carovita).
- Per consolidare le garanzie giuridiche dello Statuto di autonomia è indispensabile prevedere la necessità del consenso di due terzi del Consiglio provinciale per eventuali emendamenti allo Statuto.
Infine due idee che provengono dalle regioni autonome della Scandinavia, le isole Aland, Faroe e Groenlandia, ma riguardano due settori di crescente importanza politica: da una parte l’immigrazione e forme di cittadinanza regionale. Dall’altra parte il rapporto delle autonomie regionali con l’UE. In varie regioni autonome di tutto il mondo è molto sentita la questione del controllo del flusso di immigrazione per motivo di lavoro.Si tratta sia di migrazioni interne sia internazionali, ma ultimamente nelle regioni autonome europee prevale il dibattito sulla gestione dei flussi migratori dall’estero. Di regola, le Regioni autonome non hanno voce in capitolo nelle politiche migratorie. Teoricamente però, una Provincia autonoma in Italia potrebbe essere autorizzata a definire autonomamente le quote annuali di migranti, oggi predeterminate dal Governo, definendo a monte le sue necessità e preferenze, distinte dai flussi programmati per il quadro nazionale. Le isole scandinave già oggi controllano l’immigrazione attraverso vari strumenti giuridici, evidentemente compatibili con la normativa UE.
La seconda idea riguarda la partecipazione delle regioni autonome alla politica internazionale, che consente perfino una rappresentanza distinta della regione in organizzazioni internazionali. Quasi più importante sarebbe un diritto di “opting out” per le regioni autonome da singoli settori di politica comunitaria, un diritto acquisito dalle isole Aland e Faroe, cioè di poter decidere di non partecipare a determinate regole comunitarie, ritenute svantaggiose o addirittura pericolose per la comunità regionale. Per esempio le autonomie regionali alpine dovrebbero poter optare di non essere soggette alle politiche comunitarie del trasporto.
Proposte di questo tipo, riguardanti il futuro sviluppo della nostra autonomia, non sono un puro gioco accademico, ma risultano da un confronto con altre realtà regionali europee, funzionanti e conformi al diritto comunitario, partendo da esigenze articolatesi anche nella nostra realtà. Un ampliamento del grado di autonomia deve partire da un’intesa comune di tutti i gruppi linguistici, per avanzare tali proposte in forma di comunità provinciale integrale, e non solo come gruppo etnico maggioritario, giacché il miglioramento di alcuni elementi importanti dell’autonomia giova a tutti.Naturalmente la possibile estensione dell’autonomia dipende sempre dalle dinamiche politiche interne, sia nella regione considerata, sia nei rapporti fra lo Stato centrale e la regione autonoma. In tempi in cui frange del mondo politico provinciale continuano a battere sul tasto dell’autodeterminazione, vale comunque la pena rendersi conto in quale situazione relativa ci troviamo all’interno delle autonomie del mondo e riflettere quali spazi di ulteriore perfezionamento esistono a beneficio di tutti.
Thomas Benedikter è ricercatore, autore di ‘Autonomien der Welt’ (Athesia, Bolzano 2007) e ‘The World’s Working Regional Autonomies’ (Anthem, Londra/Nuova Delhi 2007).
Scrì na resposta