Secondo il quotidiano A. Adige il consigliere Urzì (AAnC, già FLI, già PDL, già AN) si sarebbe lamentato del fatto che un emiliano, il ministro Delrio, lo voglia costringere a dire Langfenn invece di Lavena.
Intanto sfatiamo questo mito: nessuno vuol costringere nessuno a dire questo o quello, come invece accadeva durante il fascismo, al quale Urzì per molto tempo ha strizzato l’occhio (e per certi versi sembra che stia continuando a farlo). Infatti, chiunque voglia potrà comunque continuare a dire Lavena invece di Langfenn, come i ladini da secoli dicono Bornech a Bruneck, Persenon a Brixen e Bulsan a Bolzano — senza che questi nomi fossero mai ufficiali.
Ma anche al di là di questa doverosa precisazione l’affermazione di Urzì fa decisamente sorridere: da quasi cent’anni ormai sono ministri e deputati emiliani, romani o siciliani a decidere le sorti del Sudtirolo — e l’unica volta che una decisione non piace al signor Urzì, questo sarebbe un problema? Ma caro il nostro «italianissimo», se Lei vuole rimanere fedele a questo centralistico stato-nazione saranno sempre altri a decidere gran parte di quello che accadrà in questa nostra terra.
Noi da parte nostra ci siamo sempre opposti a che i nostri problemi vengano risolti (si fa per dire) a Roma. Meglio un risultato meno buono ottenuto qui che un ottimo risultato dettato da qualcun’altro.
Chi invece come Lei è andato a Roma per convincere il governo Monti a impugnare la legge sulla toponomastica non può certo stupirsi se a decidere non saremo noi, qui, in Sudtirolo.
Post scriptum: Un discorso simile ovviamente vale anche per Florian Kronbichler (Grüne/SEL), che prima in parlamento si è detto contrario al ritiro dell’impugnazione e ora si reca in pellegrinaggio da Delrio per spiegarli che il problema della toponomastica va risolto qui. Delle due l’una.
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