Lo si evince da un’intervista effettuata da Gabriele Di Luca per il portale Salto, nella quale il coordinatore del PDL sudtirolese, Alessandro Bertoldi, si dice favorevole all’indizione di un referendum indipendentista. Nella sfera politica della nostra terra, bisogna riconoscerlo, sta avendo luogo un processo di maturazione di non poco conto: recentemente sia il Movimento Cinque Stelle (M5S), sia Brigitte Foppa (Vërc) hanno accettato di distinguere fra autodeterminazione (referendum) e secessione (traguardo), dichiarandosi favorevoli alla prima pur avversando la seconda.
Lo stesso vale per Bertoldi — che in caso di una consultazione voterebbe per il mantenimento dell’unità fra Italia e Sudtirolo, «com’è scontato che sia». «Credo però fermamente nella democrazia e nella libertà , quindi un referendum non può trovarmi contrario, anzi», afferma l’esponente berlusconiano. Anche in questo caso continua comunque a persistere una certa confusione terminologica:
Ovviamente dovrebbe trattarsi di un quesito sull’indipendenza e non sull’autodeterminazione. Quest’ultima, come hanno ribadito più volte gli organismi internazionali, è già stata riconosciuta con l’autonomia, anche senza peraltro consultare il parere degli altoatesini di lingua italiana.
Il referendum stesso, per definizione, non sarebbe altro che la realizzazione dell’autodeterminazione nella sua forma più democratica, ché sarebbe il popolo sudtirolese a determinare, liberamente, il proprio futuro. L’indipendenza, invece, è una delle possibili scelte che potrebbero scaturire dalla consultazione.
Allo stesso modo una certa confusione va contestata anche all’intervistatore, quando chiede:
Senta, concretamente, come pensa di attivare la procedura che porterebbe a un simile referendum? È consapevole del fatto che esistono dei vincoli costituzionali, tali da non permettere a una porzione di territorio di staccarsi dal resto dello Stato? Ed è consapevole, inoltre, che questa ipotesi contraddirebbe accordi internazionali stipulati con il contributo delle Nazioni Unite?
È pur vero che la costituzione non prevede la possibilità che una porzione di territorio si stacchi dal resto dello stato — ma è altrettanto vero che, già oggi, il PDL e il M5S da soli avrebbero quasi la maggioranza dei due terzi, sufficiente a indire una consultazione in deroga a qualsiasi norma costituzionale, sempre che lo vogliano. Mentre non c’è proprio da aspettarsi che le Nazioni Unite possano avere alcunché da eccepire se le due parti in causa (l’Austria e l’Italia) concedessero al territorio fra loro conteso di «autodeterminarsi».
Per quanto riguarda invece la procedura, Bertoldi sembra avere le idee piuttosto chiare, anche se la proposta di affidarsi a un sondaggio sembra perlomeno strampalata:
Procederei così: prima un sondaggio a campione che sia ufficiale e diviso tra i tre gruppi, per capire se c’è la volontà di pronunciarsi o meno; poi, se almeno due dei tre gruppi lo volessero, procederei con le urne, infine il quorum dovrebbe essere superiore ai 2/3 e anche la maggioranza non potrebbe certo essere fissata semplicemente al cinquanta per cento. Occorrerebbe creare le condizioni per una massima condivisione.
Ad ogni modo le affermazioni del coordinatore pdl confermano una cosa: chi afferma che gli italiani, tout court, sarebbero contrari all’indizione di un referendum, sbaglia — ergendosi ad avvocato (non richiesto) di un intero gruppo linguistico a prescindere della vera volontà delle persone.
Scrì na resposta