La prima novità degli ultimi decenni, anche se espressione del vecchio che non arretra, fu la discesa in campo di Silvio Berlusconi, nel 1994. Da allora «la novità» si è trasformata in un valore (o pseudo tale) perseguito un po’ da tutti gli attori politici. Le «innovazioni» degli ultimi anni non si contano, ma in ordine sparso si potrebbero citare l’Ulivo di Romano Prodi, poi l’Unione, la fondazione della Margherita prima e del PD poi, la fusione di AN con Forza Italia e la conseguente nascita del PDL, la fuoriuscita di Fini e la fondazione di FLI, il nuovo centro, Alleanza per l’Italia, non ultimo il movimento 5 stelle.
Non c’è appuntamento elettorale in Italia che non dia lo spunto per qualche «innovazione» o «rinnovamento» radicale, a scapito di un approfondimento dei contenuti. Ormai nessuno sembra rendersi conto che la «novità» non può essere considerata una categoria politica, tantomeno fine a se stessa. Ciò che dev’essere giudicato sono in primo luogo i progetti politici e in misura ancora maggiore i risultati conseguiti, mentre il «rinnovamento» spesso non è altro che un espediente per sfuggire proprio a quel necessario e normalissimo confronto con la realtà.
Non è difficile capire che ciò che è nuovo, solo perché è nuovo, non è necessariamente meglio di ciò che lo ha preceduto, ma è una constatazione che purtroppo, in Italia, negli ultimi anni si è dovuta fare molto, troppo spesso a posteriori. In molti casi sarebbe meglio lavorare sull’esistente, cercando di migliorarlo e di farlo evolvere, anche se può essere più facile cambiare nome, logo, magari la casacca, quasi mai le facce.
Non a caso però i paesi socialmente, politicamente e istituzionalmente più avanzati del nostro continente e del mondo intero conoscono un’evoluzione politica costante, un accentuato riformismo, ma senza rotture che vadano inutilmente a scapito della stabilità, della continuità e della «tracciabilità».
Una delle ultime «novità» è la candidatura del sindaco di Firenze, Matteo Renzi, alle primarie del PD, col rischio di portare ulteriormente verso destra uno dei partiti di centrosinistra meno di sinistra del continente. Quel che preoccupa però è l’adesione al suo progetto «di rinnovamento» anche da parte di molti esponenti del PD sudtirolese, come l’assessore Roberto Bizzo o il direttore della ripartizione sudtirolese delle finanze, Eros Magnago.
Che abbiano già dimenticato gli attacchi indiscriminati di Renzi alle autonomie speciali, ai loro presunti privilegi e la conseguente richiesta di «restituzione del maltolto»?
l’Unità d’Italia dovrebbe essere anche l’occasione per una riforma federale vera in cui o tutte le regioni sono a statuto speciale o non lo è nessuno.
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Credo che il presidente della Provincia di Bolzano debba iniziare a restituire un po’ di credibilita’ alle istituzioni ricordandosi che se la sua provincia autonoma ha tutti quei denari, questo deriva da una norma ad hoc della Costituzione che consente ad alcune regioni di essere a statuto speciale e ad altre no. Questo aveva un significato 60 anni fa, oggi non più.
Noi siamo orgogliosamente fiorentini e italiani e nessuno lo impone agli amici dell’Alto Adige, ma almeno che ci siano le stesse regole. Che le nostre tasse debbano andare a finanziare il loro sentimento ’anti italiano’ mi sembra un errore.
Che cotanta «novità» abbia offuscato i sensi dei nostri «autonomisti» in quota PD? Quel che può consolare, almeno, è che finché il metro di giudizio rimane quello della novità, basterà attendere qualche mese per rendere obsoleto anche Renzi. Ma forse, almeno in Sudtirolo, sarebbe ora di puntare su un progetto più sostanziale. E di ispirazione territoriale.
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