Dopo il successo della «diada», la festa della Catalogna, durante la quale erano scese in piazza centinaia di migliaia di persone (1,5 milioni secondo la polizia, 2 milioni secondo gli organizzatori) per reclamare l’indipendenza, il presidente catalano, Artur Mas, si è incontrato settimana scorsa col primo ministro spagnolo Mariano Rajoy. Tra le altre cose gli ha consegnato la proposta per un nuovo patto fiscale fra stato centrale e Catalogna, approvata dal parlamento catalano, che Rajoy ha rifiutato senza mezzi termini.
L’insucesso di questa iniziativa ha portato Mas a ventilare elezioni anticipate — per due ragioni: Primo, il punto fondamentale del suo programma elettorale, il patto fiscale, è ormai entrato in un vicolo cieco. Secondo, permettere ai partiti indipendentisti, incluso il suo (che storicamente è sempre stato autonomista), di presentarsi agli elettori con un punto programmatico comune, lo stato proprio, e di raccogliere un mandato «costituente».
L’attuale portavoce del governo catalano, Francesc Homs, ha dichiarato pubblicamente che la Catalogna ha intrapreso «una strada senza ritorno». Inoltre ha illustrato i possibili scenari che si aprirebbero dopo le elezioni anticipate, con la probabile vittoria dei partiti indipendentisti — che già ora detengono la maggioranza dei seggi in parlamento e che probabilmente riuscirebbero ad ampliare ulteriormente i loro consensi. Secondo Homs l’indizione di un referendum sull’autodeterminazione non sarebbe l’unica via percorribile, perché un risultato elettorale sufficientemente chiaro renderebbe possibile anche la dichiarazione unilaterale d’indipendenza da parte del parlamento.
Da alcuni giorni il presidente Mas continua a ripetere un concetto introdotto dal primo ministro scozzese Alex Salmond: Non importa che cosa ci sia scritto nella costituzione dello stato centrale. Se il popolo catalano vuole l’indipendenza dalla Spagna ed esprime in maniera democratica questo desiderio, si dovrà trovare una strada per consentirglielo.
Pere Navarro, segretario primo del partito socialista (PSC), è stato il primo leader di un partito non indipendentista a condividere questa agromentazione. All’interno del parlamento catalano ora solamente il PP di Rajoy rimane su posizioni pregiudizialmente contrarie all’indipendenza, assieme al micropartito Ciutadans. Mentre 86 su 135 parlamentari (i centristi di CiU, la sinistra repubblicana di ERC, i Verdi di ICV, Solidaritat Catalana e l’indipendente Joan Laporta) appartengono a partiti ormai apertamente indipendentisti, ben 114 su 135 sono favorevoli alla separazione dalla Spagna se i cittadini così volessero.
I Verdi di Joan Herrera hanno annunciato di voler convincere gli ex partner di governo del PSC a inserire nel loro programma elettorale almeno il «diritto a decidere» (cioè l’autodeterminazione). Ma alcuni sindaci del PSC hanno già annunciato di voler far campagna pro-indipendenza.
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