Language Rich Europe, programma sul multilinguismo fondato dalla Commissione Europea, sostenuto da EUNIC (European Union’s Network of National Institutes of Culture) sotto la supervisione di British Council, elaborerà un indice sul multilinguismo e sulle politiche di supporto al multilinguismo, incluse le lingue regionali e minoritarie.
Durante il lancio ufficiale del progetto in Italia sono già state tratte alcune conclusioni, basate sugli studi preliminari eseguiti e riassunte da Monica Barni, professoressa in Didattica delle Lingue Moderne all’Università per Stranieri di Siena (partner italiana di Language Rich Europe).
In Italia l’italiano è ormai usato da circa il 90% della popolazione, anche per la comunicazione orale. Si tratta di un cambiamento radicale rispetto a una tradizione idiomatica caratterizzata da una prevalenza delle lingue locali. Prima della fondazione dello stato nazionale (1861) l’italiano era una lingua usata per secoli come lingua letteraria, ma parlata solamente in Toscana e nella zona di Roma.
Alla domanda posta dagli organizzatori («l’Italia è davvero un paese multilingue?») la risposta è stata che
sì, l’Italia è un paese multilingue, ma privo della consapevolezza di tale identità e della consapevolezza dell’importanza delle lingue degli altri.
Di conseguenza il primo bilancio è molto scoraggiante:
La ricerca ha messo in luce come la “questione delle lingue” in Italia non sia risolta, ma si evidenzia la tensione fra i poli del monolinguismo ricercato – l’italiano come lingua degli italiani – e il multilinguismo da sempre presente nella penisola, grazie alla presenza dei dialetti e delle lingue di antica minoranza, e rinnovato oggi dalle nuove, molte lingue portate dagli immigrati.
Diventa dunque evidente che mentre la costituzione parla di rispetto e tutela della diversità linguistica e culturale i fatti vanno nella direzione opposta, verso una crescente omogenizzazione (mono)linguistica.
Gli italiani, e la politica linguistica italiana, non vedono le lingue degli altri, le apprendono poco, e le conoscono poco. A livello scolastico l’offerta di lingue è, in pratica, limitata alla sola lingua inglese — con l’unica eccezione delle scuole secondarie di I grado, ponendoci al di sotto della media europea; gli insegnanti non ricevono una formazione specifica per insegnare le lingue e non vengono incoraggiati a trascorrere periodi di studio nel Paese in cui si parla la lingua che insegnano. Tutti questi fattori sono inscindibilmente legati alla carenza di competenza nelle lingue straniere da parte degli italiani, come mettono in luce altre indagini svolte a livello europeo.
Da questa carenza di lingue straniere, di sensibilità e di attenzione verso le lingue degli altri derivano conseguenze negative per la capacità di internazionalizzazione del nostro sistema produttivo.
Le minoranze linguistiche in questo contesto non trovano un clima favorevole alla loro salvaguardia, né la comprensione ed il sostegno necessari ad una prospettiva per il futuro.
Cëla enghe: 01
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