Qualche giorno fa il presidente catalano Artur Mas aveva scritto un fondo per il quotidiano francese «Le Figaro». Lunedì (24.11.) invece è apparso un suo commento anche sul quotidiano portoghese «Público» che qui riproponiamo:
Perché la Catalogna non può votare?
In una democrazia il diritto al voto è uno dei diritti più preziosi. Tutti gli altri diritti sono, più o meno, una conseguenza dell’opportunità data ai cittadini di esprimere la loro opinione su questioni importanti attraverso il loro voto.
In Catalogna una maggioranza schiacciante dei cittadini vuole votare per decidere il futuro politico di questo territorio per quanto riguarda l’appartenenza alla Spagna o la fondazione di uno stato indipendente. Per questa ragione il 9 novembre 2.305.290 persone hanno votato in un processo partecipativo unico ed esemplare. Unico perché ha avuto luogo nonostante l’opposizione chiara del governo spagnolo. Unico anche perché realizzato comtemporaneamente a un ciberattacco professionale con intenzioni politiche chiare, che ha messo a repentaglio anche i servizi fondamentali prestati ai cittadini dal governo catalano. E unico perché il governo spagnolo ha tentato, con tutti i mezzi a disposizione, di dissuadere i cittadini dal votare con le minacce legali.
La votazione è stata esemplare in quanto oltre 2,3 millioni di persone non si sono fatte intimorire e, nonostante le minacce, si sono recate alle urne in consistenza simile all’affluenza delle ultime elezioni europee, organizzate senza alcun ostacolo e col pieno appoggio ufficiale. Giovani e anziani, persone nate qui e altrove, tutti i maggiori di 16 anni e residenti in Catalogna erano invitati a esprimere la loro opinione. Attraverso il voto, come si fa in tutto il mondo. Esemplare inoltre perché le persone sono andate a votare col sorriso in faccia e l’emozione negli occhi, fossero gli anziani di 90 anni che hanno vissuto la guerra civile spagnola o i giovani che a malapena ricordano che è esistito Franco. Esemplare infine, perché si è trattato di una mobilizzazione popolare pacifica, come poche se ne incontrano in giro per il mondo. Nella sua dichiarazione finale una delegazione di osservatori internazionali afferma che «il voto è stato condotto bene in circostanze difficili».
La domanda che tutti quanti ci poniamo ora è perché noi catalani non possiamo votare in un referendum legale, come la Scozia e il Québec. Siamo cittadini di seconda categoria? Nel rispetto dei valori democratici che condividiamo col resto d’Europa dico che abbiamo raggiunto il punto in cui esigiamo di porre questa domanda oltre le nostre frontiere e di andare al di là del punto in cui questa «è una questione interna alla Spagna». Perché non possiamo votare? Non chiediamo che si appoggi il «sì» o il «no», ma solo che il nostro diritto al voto sia riconosciuto.
Il presidente Rajoy e il governo spagnolo ripetono ininterrottamente lo stesso concetto; che è illegale perché la Costituzione spagnola lo vieta. Non è vero. La Costituzione può vietare la secessione, ma non proibisce che si conosca l’opinione dei cittadini su una questione talmente importante. Inoltre la Costituzione è solo una legge, molto importante, ma comunque una legge. E per funzionare bene le leggi devono servire i cittadini — e non il contrario.
In Catalogna saremmo molto contenti di vedere il governo spagnolo imbastire una campagna come il «Better Together» del Regno Unito nel corso del referendum scozzese, con la quale tenti di persuaderci a rimanere parte dello stato spagnolo. Invece abbiamo un governo che disprezza e minaccia la Catalogna e che definisce una delle maggiori mobilitazioni pubbliche in Europa «una farsa inutile» e «antidemocratica». Com’è ovvio questo non fa altro che aumentare il numero degli indipendentisti.
La Catalogna è un paese antico, ostinato e resistente che ha lottato per mantenere la sua lingua, cultura e identità , oltre al suo desiderio di autogoverno nel quadro di una Unione Europea più integrata. Ora siamo decisi a indire una votazione definitiva sul nostro futuro, che non può essere una consultazione non vincolante, ma dev’essere un referendum come in Scozia o in Québec. Non vogliamo ferire nessuno, men che meno i nostri vicini spagnoli. Ma la Catalogna merita una risposta e che questa risposta abbia la forma di una scheda in un’urna.
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