Sulle pagine del quotidiano A. Adige (vedasi ad esempio la lettera di Marino Tadini sull’edizione odierna) è nato l’ennesimo «caso» relativo al limite dei quattro anni per poter esercitare il diritto al voto, con addirittura disquisizioni sulla costituzionalità della norma che, va ricordato, ha rango costituzionale. Il direttore del giornale, Alberto Faustini, ritiene la limitazione «ormai fuori dalla storia» e quindi da abolire.
Ebbene sì, norme come la proporzionale etnica o il limite dei quattro anni sono davvero brutte. Eppure sono necessarie (e a malapena sufficienti!) a frenare il declino delle minoranze di lingua tedesca e ladina, tra le poche, se non perfino le uniche sul territorio dello stato italiano, a non essere ancora vicine alla totale assimilazione. Sono — ripeto — norme brutte, ma non meno brutto e «fuori dalla storia» è lo stato (mono-)nazionale, che con il suo monolinguismo intrinseco e con il suo nazionalismo banale sortisce effetti devastanti su tutto ciò che è diverso. Meccanismi che però non solo il quotidiano di Faustini non critica mai, ma che addirittura riproduce e professa continuamente. Basti ricordare, a titolo di esempio, il recente caso delle Frecce tricolori.
Le norme a tutela delle minoranze non fanno altro che rispondere «per le rime» (in maniera ancora insufficiente a garantire loro pieni diritti) alle norme e alle logiche insite allo stato nazionale. Chi, senza proporre alternative serie, combatte le prime senza al contempo (anzi: prima) combattere il suprematismo di stato dal quale mettono al riparo, gioca sporco. Ma chi non solo non combatte lo stato nazionale — mentre vuole superare le tutele per le minoranze che esso per indole soggioga —, ma addirittura ne riproduce e legittima le logiche, non è altro che un oppressore e un linguicida. Conscio di esserlo o meno. È una cosa che credo vada finalmente detta con tutta chiarezza.
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