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  • Pagliacciata Coldiretti.

    Europa 2030: Gli agricoltori sudtirolesi, sventolando bicolori rossobianchi, si piazzano a Salorno per difendere il «made in South Tyrol» dai prodotti provenienti da sud, «di qualità scadente», assicurano, e assieme alla polizia sudtirolese procedono a verificare il carico dei TIR in ingresso. Nazionalismo anacronistico, caso diplomatico, governo romano furioso — insomma: impensabile.

    Europa 2015: Gli agricoltori italiani, sventolando tricolori verde-bianco-rossi, per l’ennesima volta si piazzano al Brenner/o, confine inviso alla popolazione, scaturito da una guerra, che divide il Tirolo in due e che l’Europa passo dopo passo sta tentando di ricucire. Vorrebbero difendere il «made in Italy» dai prodotti provenienti dall’estero, «di qualità scadente», assicurano, e assieme alla Guardia di Finanza procedono a verificare il carico dei TIR in ingresso. Nazionalismo anacronistico, supporto dei media, applausi.

    Coldiretti/Brenner.

    Come se, ad esempio, latte e latticini provenienti dall’Austria, leader mondiale del biologico, rappresentasse di per sé un problema di qualità — o addirittura un rischio per la salute delle consumatrici e dei consumatori. Come se la mozzarella di bufala campana alla diossina non fosse mai esistita.

    La qualità alimentare va difesa sempre, senza indugi. Ma la qualità in Europa non inizia e non finisce sui confini nazionali, e non la si promuove col nazionalismo, diffamando e diffondendo pregiudizi sulla qualità alimentare dei prodotti provenienti da altri paesi europei; bensì pensando a forme di protesta e di sensibilizzazione comuni contro regole sbagliate e pecore nere. Piazzarsi al Brenner/o invece vuol dire rimarcare i confini «nazionali» e attaccare frontalmente — sul piano simbolico, ma non solo — anche i pochi e ancora fragili progetti di cooperazione transfrontaliera sul piano euregionale, improntati alla massima qualità.

    Foto: Coldiretti.

    Vedi anche: 01 02 03



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  • Die Welt in Zahlen.
    Quotation

    Anteil der Portugiesen, die ihre Einkommensteuererklärung von einem Dienstleister erstellen lassen, in Prozent: 2
    Anteil der Deutschen, die ihre Einkommensteuererklärung von einem Dienstleister erstellen lassen, in Prozent: 43
    Anteil der Italiener, die ihre Einkommensteuererklärung von einem Dienstleister erstellen lassen, in Prozent: 96

    Auszug aus Brandeins 07/15.



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  • Ipocrisie «nazionali» sulle spalle dei profughi.

    Ieri su un quotidiano qualsiasi, quello in lingua italiana più diffuso in Sudtirolo, quello che non esita a definire eufemisticamente «di centrodestra» i fascistacci di CasaPound ed a sbattere in prima pagina vergognosi articoli (pseudo-)scientifici secondo cui i profughi sarebbero portatori di virus («Quando migranti sono anche… i virus», 28.06.2015) — ecco, su quel quotidiano lì ieri è apparso un editoriale farneticante e trasudante nazionalismo centralista, decisamente oltre le righe anche per quel che eravamo già abituati.

    Vi si critica pesantemente la decisione, presa dal Landeshauptmann, di sostenere la Baviera nel suo sforzo di accogliere decine di migliaia di profughi, rallentandone il deflusso dal Sudtirolo nella misura di qualche centinaio. «Siamo in Italia» tuona il direttore del giornale, per farci sapere che se il governatore di una terra autonoma — autonoma, almeno sulla carta — prende una decisione autonoma, ovvero senza il beneplacito di Roma caput mundi, questo equivale a una sorta di secessione.

    Forse non sarebbe venuta in mente nemmeno ad Eva Klotz: annunciare una sostanziale modifica in salsa altoatesina degli accordi di Schengen e fare un accordo con la Baviera per accogliere i migranti che quel pezzo importante di Germania in questi giorni non riesce proprio ad ospitare.

    Fa sempre un certo figurone invocare lo spettro della Klotz, anche se ormai pensionata e pur non avendo evidentemente capito nulla della questione. Gli accordi di Schengen infatti con la decisione del Landeshauptmann non c’entrano assolutamente nulla, perché i flussi dei profughi vengono regolati dagli accordi di Dublino.

    Ma soffermiamoci un attimo su questo punto: la terra autonoma ha davvero preso una decisione autonoma? Ne siamo proprio sicuri? A tal proposito consultiamo il comunicato stampa della provincia:

    Dopo la decisione della Provincia, presa di comune accordo con il governo nazionale, di intervenire temporaneamente a sostegno della Baviera nella gestione dell’emergenza profughi, è stata messa a disposizione una struttura a Bressanone.

    Tutto l’editoriale dunque si regge(va) su una balla? Probabile. Ma anche se una balla non fosse, non avrebbe dovuto scandalizzare nessuno:

    • Innanzitutto è un bene che la solidarietà in Europa sia internazionale e che vi sia la disponibilità al mutuo sostegno ed è inutile costruirci sopra la solita solfa «nazional-nazionalista», sgarbi istituzionali di qua e «siamo in Italia» di là — è un bene che le regioni guardino oltre i confini, e non solo quando un certo quotidiano parla a vanvera di «apertura mentale» e «orizzonte europeo» che per primo dimostra di non avere.
    • Giungendo per esempio a scomodare la Sicilia:

      […] Kompatscher ha pensato di fare un’analoga conversazione con il presidente della Regione Sicilia per proporgli ad esempio di aiutarlo con identico zelo in un’emergenza che da quelle parti è ormai inaffrontabile?

      Ma che vuol dire? Lo stato italiano distribuisce già i rifugiati su tutto il territorio, Sudtirolo incluso, senza che le realtà autonome abbiano voce in capitolo. Le conversazioni con chichessia vanno sempre bene ma non possono essere l’ennesima scusa per anteporre gli interessi «nazionali» a quelli della politica e della solidarietà. Non dimentichiamo inoltre che sono due regioni a statuto ordinario come il Veneto e la Lombardia a tirarsi indietro sulla solidarietà territoriale.

    • Se la Baviera ha chiesto aiuto al Sudtirolo è perché la Baviera è competente in materia, senza che in Germania qualcuno tema scissioni o «sgarbi istituzionali». Qualcuno si è chiesto perché un normalissimo Land tedesco ha competenze che l’autonomissimo (si fa per dire) Sudtirolo non ha? Altroché indipendenza ed altroché Vollautonomie.
    • Inoltre Kompatscher, dando accoglienza a quelle persone, non ha fatto nulla di illegale o di para-legale, non ha insomma annunciato alcuna modifica «in salsa sudtirolese» dei trattati di Dublino (né tantomeno di quelli di Schengen): la Germania — limitatamente ai profughi siriani! — ha deciso di disapplicare il trattato di Dublino, senza rispedirli nei paesi d’ingresso in Europa, ma nonostante ciò quel trattato è sempre in vigore, e quindi il Sudtirolo (e l’Italia) sarebbe addirittura obbligato a trattenere i profughi, senza alcun bisogno di richieste d’aiuto da parte della Baviera. Accogliere i profughi in Sudtirolo, secondo il trattato di Dublino (che possiamo ritenere giusto o sbagliato, ma che l’Italia ha firmato), non solo è perfettamente legale, ma perfino un dovero. Semmai è illegale farli proseguire verso l’Austria e la Baviera, ma questo è un altro discorso. Fatto sta che accusare il governo sudtirolese di aver fatto ciò che prevedono i trattati internazionali è di una stoltezza infinita. Farlo per poter scrivere che «siamo in Italia» è ancora peggio.
    • Ma ecco alla chicca finale:

      […] ancora una volta, [si] produce un cortocircuito istituzionale che, con l’intento di tener buono un elettorato che sta a destra della Svp […] produce uno strano mostro che rende ancora più complicato il rapporto fra noi e il resto del Paese.

      Tutto, ma proprio tutto sembra far brodo, anche se evidentemente non ha nessun senso. Pensare di lisciare il pelo all’elettorato di destra accogliendo i profughi non verrebbe in mente neanche al peggiore degli autolesionisti. Non fosse così triste potremmo farci due risate.



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  • Einvernehmliche Scheidung einer Zwangsehe.

    Vor mehreren hundert Zuhörern diskutierten vorgestern Fürst Hans-Adam II. von Liechtenstein, Landeshauptmann Arno Kompatscher und -Blogger Wolfgang Niederhofer in Schlanders zum Thema “Der Staat im dritten Jahrtausend”. Dabei wurde der Landeshauptmann aus dem Publikum auch mit der Frage einer möglichen Abstimmung über die Zukunft Südtirols konfrontiert. Kompatscher ließ an diesem Abend mehrmals durchblicken, dass er kein Freund des Nationalstaates sei und dass die derzeitige Situation Südtirols für ihn nicht das Ende der Fahnenstange bedeute. Einer Abstimmung erteilte er – ganz im Sinne der gängigen SVP-Doktrin – zum derzeitigen Zeitpunkt eine Absage. Vielmehr müsse der Weg zur mehr Eigenständigkeit über Europa führen. Der LH begründete dies unter anderem damit, dass für die Erlangung der Unabhängigkeit die rechtliche Grundlage fehle und dass man realistische Ziele anstreben müsse und keine falschen Hoffnungen wecken solle.

    Nichts liegt mir ferner, als die derzeitige Flüchtlingstragödie und das damit einhergehende Versagen der europäischen Politik für politische Zwecke missbrauchen zu wollen. Die laufende humanitäre Katastrophe zeigt jedoch eindrucksvoll, dass politisches Handeln nicht immer den Buchstaben des Gesetzes folgt respektive folgen kann und dass pragmatische Ansätze mitunter der einzige Ausweg sind. Ähnliche Erkenntnisse brachte übrigens auch die globale Finanzkrise zutage. Noch einmal: Ich möchte hier weder die Flüchtlinge instrumentalisieren noch die Entscheidungen diesbezüglich oder jene im Rahmen der Finanzkrise in irgendeiner Form bewerten. Es geht mir einzig und allein darum aufzuzeigen, dass sich politisches Handeln nicht auf den rechtlichen Aspekt sowie einen vermeintlichen – immer auch subjektiven – “Realismus” reduzieren lässt.

    Für eine syrische Familie ist es gleichermaßen unrealistisch wie rechtlich unmöglich, ohne die nötigen Dokumente und noch dazu über die Route durch sichere Drittländer nach Deutschland zu gelangen. Dennoch haben dies in den vergangenen Tagen tausende unter den Augen von Politik und Exekutive getan. Obwohl Dublin III nach wie vor in Kraft ist, obwohl Griechenland die Flüchtlinge bei ihrer Ankunft registrieren hätte müssen, obwohl sie nicht hätten weiterreisen dürfen, obwohl Österreich verpflichtet gewesen wäre, sie nach Ungarn zurückzuschicken. Jedes Phänomen hat also eine rein rechtliche und eine pragmatisch-politische Dimension. Freilich ist die Katastrophe in Syrien weder in ihrem Ausmaß, noch in ihren Auswirkungen und in ihrer Relevanz auch nur im entferntesten mit der Diskussion um Selbstbestimmung in Europa vergleichbar. Sie hilft aber, Mechanismen politischen Handelns besser zu verstehen.

    Es waren die Katalanen und die Schotten, die die Europäische Union sowie deren Mitgliedsstaaten gezwungen haben, sich überhaupt mit der Frage der “inneren Erweiterung” und möglichen, bislang nicht existierenden “Scheidungsregeln” auseinanderzusetzen. Südtirol hat dazu nicht nur nichts beigetragen, sondern hat sich auch aus der laufenden Diskussion ausgeklinkt, während die Katalanen das Anliegen weiter internationalisieren. Freiwillig wäre die EU niemals auf die Idee gekommen, sich mit diesen Dingen zu befassen; ja, sie tut sich immer noch schwer damit. Ist es also “realistisch”, wenn der Landeshauptmann auf eine Regionalisierung der EU hofft, die in weiterer Folge mehr Eigenständigkeit für Südtirol/die Euregio bringen soll? Ist es realistisch, dass sich die Nationalstaaten (die nationalen Regierungen), die in der Union nach wie vor das Sagen haben, freiwillig zugunsten kleinerer Einheiten selbst entmachten? Ist es tatsächlich so viel unrealistischer, dass die EU eine pragmatische Lösung finden würde, sollte Katalonien tatsächlich einen Präzedenzfall schaffen und sich von Spanien abkoppeln? Ist es unrealistischer, dass die Umgestaltung und Demokratisierung der EU eher in bottom-up-Prozessen à  la Katalonien, denn durch top-down-Entscheidungen des Rates der Europäischen Union passiert?

    Hätten sich die syrischen Flüchtlinge mit einem Leben in den Massenlagern der Nachbarländer zufriedengestellt, wären sie nicht einfach in Richtung Europa aufgebrochen, hätte sich die Union niemals darüber überhaupt Gedanken gemacht, wie man legale Asylmöglichkeiten schaffen oder die Ursachen der Flucht beseitigen könnte.

    Katalanen und Schotten haben gezeigt, dass es Initiative braucht, um etwas zu bewegen. Sie haben auch bewiesen, dass sich der Drang nach Unabhängigkeit und der Ausbau von Autonomie nicht ausschließen. Sich in der Politik immer nur im Rahmen des rechtlich Möglichen/realistisch Machbaren zu bewegen und auf den richtigen Zeitpunkt zu warten, hemmt visionäre Lösungen und bringt keine Weiterentwicklung. Artikel 5 der italienischen Verfassung, an deren Verabschiedung Südtirol nicht beteiligt war und wonach der Staat unteilbar sei, ist anachronistisch und — wie auch Kompatscher bei einer Diskussion in Innsbruck bestätigte — undemokratisch. Was läge also näher, als sich mittels demokratischer Willensbekundung einer undemokratischen Regelung zu entziehen. Sich aus einer Zwangsehe unbedingt durch eine einvernehmliche Scheidung verabschieden zu wollen, mutet mir zumindest irgendwie komisch an.



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  • Schottisches Missverständnis.

    Während der gestrigen Diskussion mit Hans-Adam II. von Liechtenstein und Wolfgang Niederhofer () hat der Landeshauptmann in der Schlussrunde, nach der also keine Stellungnahmen oder Fragen aus dem Publikum mehr gestattet waren, die immer wieder vorgebrachte Behauptung wiederholt, Schottland hätte über seine Unabhängigkeit abstimmen dürfen, weil das Vereinigte Königreich keine Verfassung habe und dort somit auch kein verfassungsrechtliches Einheitsgebot existiere. Cameron habe daher die Möglichkeit gehabt, den Schotten eine Abstimmung zu gewähren.

    Lassen wir einmal unbeachtet — aber nicht unerwähnt — dass der heutige SVP-Chef Philipp Achammer noch 2012 behauptet hatte, Westminster werde die Schotten sicher »niemals« abstimmen lassen. Zwei Jahre später war die Selbstbestimmung vollzogen, so viel zum Thema »Realismus«.

    Dass das Vereinigte Königreich keine oder wenigstens keine geschriebene Verfassung habe, ist ein häufiges Missverständnis. Das Portal verfassungen.eu zitiert aus Günther Doekers und Malcolm Wirths »Das politische System Großbritanniens«:

    In der wissenschaftlichen Literatur zum britischen Regierungssystem wird vielfach festgestellt, dass es eine geschriebene britische Verfassung nicht gebe. Wenn man davon ausgeht, dass eine Verfassung ein zusammenhängendes und kompaktes Dokument im Sinne kontinentaleuropäischer Verfassungstheorie und -praxis ist – wie etwa das Grundgesetz der Bundesrepublik Deutschland oder die Verfassung der Vereinigten Staaten von Amerika – dann ist diese Feststellung zutreffend. Geht man hingegen davon aus, dass eine Verfassung ein System fundamentaler Prinzipien und Regeln darstellt, aufgrund dessen politisch-autoritative Entscheidungen und Werturteile getroffen werden, so kann man sehr wohl von einer britischen Verfassung sprechen, welche darüber hinaus in Gesetzen .und anderen verfassungsrechtlichen Dokumenten festgeschrieben wurde. Insoweit existiert auch eine geschriebene britische Verfassung, selbst wenn ein zusammenhängendes und alles erfassendes Dokument nicht vorhanden ist.

    Zu diesen verfassungsrechtlichen Dokumenten zählt laut Günther Doekers und Malcom Wirth auch der »Union with Scotland Act«:

    Die für den britischen politischen Entscheidungsprozeß entscheidenden verfassungsrechtlichen und verfassungspolitischen Voraussetzungen sind grundsätzlich in Gesetzen konkretisiert und festgeschrieben worden. Die Staatsgrenzen und die Staatsorganisation Großbritanniens sind im Union with Scotland Act, 1706 festgehalten […]

    Wir halten fest: Es gibt zwar keine zusammenhängende britische Verfassung, dafür aber sehr wohl Dokumente, die im Verfassungsrang stehen, wozu auch das Gesetz zählt, welches die Einheit mit Schottland besiegelt. Dies allein würde es Westminster — wenn es nicht demokratisch, sondern ausschließlich aufgrund geltenden Rechts argumentieren würde — ermöglichen, eine Diskussion über die Loslösung Schottlands zu verhindern, und das zumindest so lange, bis die Auflösung des sogenannten Union Act eine verfassungsändernde Mehrheit im Parlament hat.

    Wollte man den Union Act mittels Volksabstimmung außer Kraft setzen, müssten alle BürgerInnen des Vereinigten Königreichs abstimmen.

    Doch es kommt noch dicker. Artikel 1 des Union Act besagt nämlich:

    That the two kingdoms of England and Scotland shall upon the first day of May which shall be in the year one thousand seven hundred and seven and for ever after be united into one kingdom by the name of Great Britain and that the ensigns armonial of the said United Kingdom be such as her Majesty shall appoint and the crosses of St. George and St. Andrew be conjoyned in such manner as Her Majesty shall think fit and used in all flags, banners, standards and ensigns both at sea and land.

    (Hervorhebung von mir.)

    »For ever after«, das heißt soviel wie »für immer und ewig« oder »für alle Zeiten«! Das ist sogar mehr, als in der italienischen Verfassung steht, denn es handelt sich streng genommen um eine in Verfassungsrang stehende Ewigkeitsklausel. Aber: Manche Länder lehnen die »Judizialisierung der Politik« ab, wonach der politische Wille in juristische Geiselhaft genommen wird, und setzen ganz unaufgeregt auf die Demokratie. Das unterscheidet das Vereinigte Königreich von Ländern wie Spanien und Italien: Die Demokratie und nicht die angebliche Abwesenheit einer geschriebenen Verfassung.

    Demokratie aber sollten wir als Demokraten alle einfordern, ganz egal ob wir in Schottland, in Katalonien oder in Südtirol daheim sind, auch der Landeshauptmann.

    Camerons Regierung hatte im Vorfeld der Einigung zur schottischen Abstimmung übrigens ganz klar gesagt:

    Ich nehme an, wir könnten die verfassungsrechtliche Frage aufwerfen, wer die Zuständigkeit hat [eine Volksabstimmung einzuberufen] und wer nicht, doch ich glaube, das wäre kein sinnvoller Zeitvertreib. Wenn das aktuelle Thema die Zukunft Schottlands innerhalb des Vereinigten Königsreichs ist, dann ist es wichtiger, diese Debatte zu führen, als darüber zu diskutieren, ob wir die Debatte führen dürfen.

    Michael Moore, damaliger Staatssekretär für Schottland der britischen Regierung


    Siehe auch:
    01 02 03



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  • Non bisogna tacere.

    Ieri sera, al termine della discussione con il monarca del Liechtenstein (della quale avremo modo di riferire), ci ha avvicinato un signore per comunicarci che aveva consultato il nostro sito, ma che purtroppo non poteva essere d’accordo con le nostre proposte. Il suo desiderio più grande, ci ha confessato, è quello che si smetta al più presto di parlare di autodeterminazione (a quanto pare intrinsecamente «cattiva» e «pericolosa»). Quel che a suo dire lo preoccupava maggiormente, però, era che un raggruppamento progressista di sinistra come il nostro sostenesse un progetto «delle destre», legittimandole.

    Ora, qui c’è un problema di fondo, una confusione fra causa ed effetto se così vogliamo. Nella maggior parte dei casi in politica non si sostiene un’idea per legittimare o delegittimare l’avversario politico, ma la si sostiene perché la si ritiene giusta — o almeno così dovrebbe essere. Se un partito di destra chiede la chiusura di un campo nomadi (per cacciar via i suoi abitanti) ed un partito di sinistra chiede la stessa cosa (ma per dare ai suoi abitanti una sistemazione più degna), la soluzione non può essere quella di chiedere alla sinistra di rinunciare alle proprie idee per non legittimare (legittimare solo in apparenza!) la destra.

    La pretesa di sopprimere la discussione su un determinato argomento, in uno stato di diritto, si commenta da se. Che il tema dell’autodeterminazione prima o poi si esaurisca «da sé» può essere un desiderio legittimo, ma la veemenza con cui la questione viene posta quasi quotidianamente da una fetta della popolazione non può far pensare che ciò accada senza il passaggio naturale in democrazia, rappresentato da una scheda nell’urna (ma molto più complessamente da tutto il processo che precede il passaggio elettoral-referendario).

    Quello degli «utili idioti» che legittimerebbero un desiderio condiviso dalle destre, comunque, è un rimprovero abbastanza ricorrente — anche se ultimamente prevale nettamente la consapevolezza che il nostro progetto difficilmente porta acqua al mulino di chi vuol dividere.

    Diamo un’occhiata ai rapporti di forza: certo, se consideriamo il settore politico dichiaratamente indipendentista, (diversamente da ciò che avviene in Scozia e in Catalogna) la sinistra progressista per ora in Sudtirolo è chiaramente minoritaria. In una democrazia però non si decide mai «per settori», decide sempre la popolazione intera, ovvero la maggioranza (più ampia possibile).

    Se un giorno la popolazione sudtirolese decidesse democraticamente di secedere, e se anche la componente di destra all’interno del secessionismo (tutt’altro che un movimento organico) fosse prevalente, il percorso da seguire verrebbe pur sempre scelto dalla maggioranza delle e dei sudtirolesi. E non già dalla maggioranza fra i secessionisti. Quindi, se la maggioranza della popolazione è favorevole alla pacifica convivenza nell’odierna cornice autonomista, sarà democraticamente libera di dare tale impostazione anche all’ipotetico stato indipendente. Paradossalmente allora la «maggioranza di destra nel settore secessionista» sarebbe stata l’utile idiota per la realizzazione di uno stato indipendente aperto, inclusivo e tutt’altro che ispirato ai suoi «valori», finché tali «valori» nella popolazione complessiva sono minoritari.

    Se crediamo in un futuro in cui gli stati nazionali, vero male dello sciagurato ventesimo secolo, siano finalmente destinati a scomparire, battere in ritirata non può rappresentare un’opzione. Al contrario: Bisogna evitare che la popolazione, per raggiungere un fine assolutamente legittimo e democratico come l’indipendenza, venga costretta ad affidarsi alle destre. Dobbiamo allora essere attori «creativi» di questo processo, con una progettualità alternativa e positiva da contrapporre alle improponibili idee di chi volesse dividere ed escludere — nella consapevolezza che la maggioranza della popolazione non ha alcuna intenzione di mettere a repentaglio la convivenza, ma semmai di approfondirla.



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  • Rückwärtsgewandt.
    Quotation

    Je weiter man zurückblicken kann, desto weiter wird man vorausschauen.

    — Winston Churchill



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  • »Junts pel Sí­« kratzt an der Absoluten.

    Trotz des beträchtlichen Gegenwinds zeichnet sich in Katalonien derzeit ein Regionalwahl-Ausgang ab, der den beiden klar unabhängigkeitswilligen Listen eine Mehrheit im katalanischen Parlament sichern würde.

    Vor wenigen Tagen hatte das spanische Nachrichtenportal Publico.es die Ergebnisse einer Repräsentativumfrage veröffentlicht, wonach am 27. September die Gemeinschaftsliste Junts pel Sí­ und die linksradikale CUP gemeinsam 73 von 135 Sitzen erringen würden. In der Prognose wurde bereits von einer höheren Wahlbeteiligung als 2012 ausgegangen, was den Unabhängigkeitsbefürwortern tendenziell schaden würde.

    Gestern veröffentlichte die katalanische Zeitung El Punt Avui das Ergebnis einer weiteren Umfrage, wobei sich die von Publico.es erfasste Stimmungslage im wesentlichen bestätigte:

    27S.

    Grafik:

    • Junts pel Sí und die CUP würden gemeinsam mindestens 73 Sitze für ihr Vorhaben erlangen, eine einseitige Unabhängigkeitserklärung im Parlament zu verabschieden; dabei könnte Junts pel Sí die absolute Mehrheit von 68 Sitzen sogar alleine knacken;
    • das Wahlbündnis aus einem Teil der Grünen (ICV) und Podem, das unter der Bezeichnung Catalunya Sí que es pot antritt — und sich zur Unabhängigkeitsfrage neutral verhält, da es weiterhin eine Volksabstimmung anstrebt — würde voraussichtlich 12-16 Sitze erreichen;
    • die Unabhängigkeitsgegner (PSC, Ciutadans und PP) schließlich würden auf maximal 48 Sitze kommen.

    Wie sich Catalunya Sí­ que es pot bei einer einseitigen Unabhängigkeitserklärung durch das katalanische Parlament verhalten würde (Enthaltung oder Gegenstimme) ist bislang nicht vorhersehbar. Zwar würde auch eine Gegenstimme, sofern sich die derzeitigen Projektionen bewahrheiten, nichts an der Mehrheit der Unabhängigkeitsbefürworter ändern, eine Enthaltung wäre aber ein sehr starkes Signal.

    Siehe auch: 01 02



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