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  • VfG: Staat sticht Land auch beim Wahlrecht.

    Obwohl die autonomen Regionen und Länder im Staat Italien bezüglich Wahl ihrer Regionalräte (Landtage) und Präsidentinnen (Landeshauptfrauen) nominell über eine »primäre« Gesetzgebungsbefugnis verfügen, gibt letztendlich der Zentralstaat den Ton an. Dies lässt sich von einem gestrigen Entscheid1pun intended des italienischen Verfassungsgerichts (VfG) ableiten, das die Mandatsbeschränkung von Regionspräsidentinnen einfach vom Staatsgesetz auf die nominell »autonome« Provinz Trient ausgedehnt hat. Hierzu erklärten die Richterinnen die zentralstaatliche Regelung — obschon sie ausdrücklich nur für Regionen mit Normalstatut erlassen wurde — einfach zum »allgemeinen Prinzip der republikanischen Rechtsordnung«.

    Das Verfassungsgericht macht sich die Welt einfach, wie sie ihm gefällt. Und sie gefällt ihm nun einmal seit jeher mit einem starken römischen Wasserkopf und schwachen Autonomien.

    Demzufolge darf der Trentiner Landeshauptmann Maurizio Fugatti (Lega) keine dritte Amtszeit ableisten, obschon ihm der Landtag diese Möglichkeit eingeräumt hatte.

    Auf Südtirol wirkt sich die jetzige Vorgabe nicht unmittelbar aus, da die Landeshauptfrau hierzulande nicht direkt, sondern vom Landtag gewählt wird und sich das Staatsgesetz nur auf direkt gewählte Regionspräsidentinnen bezieht.

    Allerdings könnte die Amtsbeschränkung auch auf Südtirol ausgedehnt werden, falls

    • der Landtag beschlösse, auch bei uns die Direktwahl der Landeshauptfrau einzuführen oder
    • der Zentralstaat die Beschränkung auch auf nicht direkt gewählte Amtsträgerinnen ausweiten sollte.

    Zudem wurde den Autonomien durch das jetzige Urteil auch ganz grundsätzlich abermals eine primäre Befugnis entrissen, was als Präzedenzfall für weitere Einschnitte in diesem Bereich dienen kann.

    Die vom VfG herangezogenen »allgemeinen Prinzipien der republikanischen Rechtsordnung« sind übrigens nicht die »grundlegenden Bestimmungen der wirtschaftlich-sozialen Reformen der Republik«, die mit der Autonomiereform als Schranke der Gesetzgebungsbefugnisse beseitigt werden sollen. Dies zeigt einmal mehr, dass dem Verfassungsgericht auch nach Genehmigung der Reform zahllose Möglichkeiten gegeben sind, in die Zuständigkeiten des Landes einzugreifen, wie es ihm gerade gefällt.

    Dazu trägt nicht zuletzt bei, dass das »nationale Interesse« als Grenze autonomer Befugnisse aufrecht bleibt.

    Hinweis: In diesem Beitrag wird ausdrücklich nicht bewertet, ob eine Mandatsbeschränkung — beispielsweise im Trentino — sinnvoll ist, sondern nur thematisiert, dass die entsprechende Entscheidungsbefugnis von der Landes- auf die Staatsebene verschoben wurde.

    Cëla enghe: 01 02 03 04 05

    • 1
      pun intended


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  • Beati coloro che…
    Nazionalismo tossico

    Beati coloro che, dopo anni di pressioni, sono riusciti a fargli dire che si sente italiano — e adesso se ne rallegrano.

    Cëla enghe: 01 02 03 04 05



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  • Il tedesco a Bolzano: promosso no, rimosso sì.
    Minorizzazione da manuale

    Su alcuni documenti della circoscrizione Centro Piani Rencio di Bolzano il testo in lingua tedesca è riportato a sinistra mentre quello in lingua italiana sta sul lato destro.

    Questo piccolo dettaglio è stato sufficiente a spingere il quotidiano in lingua italiana di Athesia a pubblicare, nella sua edizione odierna, un articolo dal titolo «Delibere prima in tedesco / Ora scoppia la polemica» — con tanto di finestra in prima pagina — nel quale il presidente Marco Manfrini (SVP) è chiamato a giustificarsi.

    Infatti, secondo l’autore dell’articolo

    anche se nella città di Bolzano, dove la maggioranza dei cittadini è di lingua italiana, dovrebbe venire prima il testo in lingua italiana, a precedere è invece quello in lingua tedesca.

    – A. Adige

    Va sottolineato, come ha fatto Manfrini nei confronti di chi lo ha intervistato, che invece non c’è nessuna legge e nessun regolamento che definisca l’ordine delle lingue.

    Chi però ha una minima dimestichezza con la tutela delle minoranze linguistiche, sa che bisognerebbe favorirle e promuoverle — e non parliamo solamente dell’inversione dell’ordine linguistico in qualche documento che pochi leggono — soprattutto nelle zone dove sono maggiormente sotto pressione, come per esempio a Bolzano. Secondo gli ultimi dati disponibili, quelli del censimento linguistico, il gruppo linguistico tedesco è infatti ormai in evidente sofferenza, essendo tornato sotto i livelli del 1981, il primo censimento dopo l’entrata in vigore del secondo statuto.

    Articolo dell’A. Adige (stralcio)

    L’agonia del gruppo minoritario nel capoluogo però all’A. Adige non interessa minimamente, come purtroppo sembra interessare ben pochi anche tra media e rappresentanti politici di lingua tedesca.

    Tutt’altra musica quando invece sono gli effetti dell’ormai riuscita opera di italianizzazione del capoluogo a venire intaccati, anche se si tratta solamente di un testo in lingua italiana sul lato destro di un foglio.

    Mentre ad esempio il Consiglio comunale si attiva immediatamente e all’unanimità perché gli annunci nei bus di linea sono prima in tedesco e poi in italiano, praticamente nessuno muove un dito se i dipendenti pubblici spesso (e sempre più spesso) non sono in grado di dire mezza parola in lingua tedesca, se servizi pubblici come il noleggio delle bici sono solo in italiano (e non prima in italiano) o se risulta praticamente impossibile utilizzare i parchimetri della città in lingua tedesca, per fare solo alcuni esempi.

    A titolo di paragone: a Barcellona — dove i cittadini di lingua catalana sono in minoranza — è normalissimo che la lingua catalana venga privilegiata e in molti casi le informazioni siano monolingui catalane, proprio per controbilanciare la marginalizzazione strutturale cui sono sottoposte le lingue minoritarie. Lo stesso vale per la Galizia, per il Galles (01 02) e ovviamente per il Québec.

    Alla «flessibilità» che in Sudtirolo si chiede ai cittadini di lingua tedesca nell’accettare ormai qualsiasi tipo di sopruso, purtroppo corrisponde un’inflessibilità praticamente totale da parte del gruppo linguistico italiano, ben esemplificata dall’articolo dell’A. Adige che stiamo commentando.

    Dove verso la fine — senza rendersi conto, apparentemente, dell’enorme contraddizione — si cita il leghista Luca Simone Segna, vice di Manfrini e partner di coalizione dell’SVP, che ha il coraggio

    • di affermare di sentirsi «spaesato» (!) per il semplice fatto che in questa consiliatura le riunioni del Consiglio di quartiere non sarebbero più monolingui italiane, come in precedenza, ma bilingui e
    • di lamentarsi che «era più veloce la seduta in italiano, essendo la maggioranza italiana».

    Riguardo al testo delle delibere prima in lingua tedesca, come alle sedute “doppie” prima in tedesco e poi con la traduzione italiana, il vicepresidente [Luca Simone Segna] tiene a chiarire: «Per il quieto vivere, non ci facciamo neanche più caso. Lasciamo correre, cerchiamo di essere superiori. Siamo quasi nel 2026, siamo nell’Europa unita. […]»

    – A. Adige

    La «superiorità» del gruppo linguistico che, nel 2026, non riesce a fare una seduta in cui ognuno parla la sua lingua, ma ha bisogno di successive traduzioni, mi sembra veramente fantastica. Non vergognarsene, ma addirittura sbandierare la magnanime «concessione» di non esigere il monolinguismo italiano totale, rappresenta la ciliegina sulla torta.

    Tutto questo ci fa capire purtroppo a che livello — mediatico e politico — siamo: mentre il tedesco sul lato «sbagliato» (delle delibere) non va bene, il tedesco eliminato (dalle sedute) sembra quasi un diritto.

    Cëla enghe: 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10



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  • EU-Regionen: Union und Mitgliedsstaaten drücken Zentralisierung durch.


    Seit den letzten Europawahlen verabschiedet sich die Kommission immer mehr von der Union

    Die EU-Kommission verkommt zu einem Kartell der »Vaterländer«. Die Mitgliedsstaaten wickeln die Europäische Union Stück für Stück ab. Aus der Union wird ein loses Bündnis der »Vaterländer«, wie es sich Konservative und Rechte wünschen.

    So versenkte die Kommission — »juristisch« begründet — die erfolgreiche Minority Safepack-Initiative des Minderheitendachverbandes FUEN. Sie erklärte sich für nicht zuständig. Neue Mitglieder müssen, heißt es aber in den EU-Verträgen, vor dem Beitritt ihre Minderheitenprobleme regeln und lösen. Also doch eine Thema der Union?

    Seit ihrem Erstarken kokettiert Kommissions-Präsidentin Ursula von der Leyen mit den rechten Fraktionen. Für die Zusammenarbeit opfert sie ihren Green Deal, den öko-sozialen Umbau der EU. Prioritäten von gestern, als die Rechten noch Ränder waren.

    Konservative und Rechte führen ihren »Kulturkampf« gegen »Veggie-Burger«, lehnen die Renaturierung zerstörter Landschaften ab, die eh schon halbherzigen Bemühungen gegen den Klimawandel werden langsam abgedreht.

    Die Flüchtlings- und Migrationspolitik ist ein Flickwerk, die EU reagiert nur auf Herausforderungen, agiert nicht. Jedes Mitgliedsland hantiert — auf Druck rechter Wahlerfolge — mit unterschiedlichen Konzepten, die zu spät umgesetzt werden. Die EU und ihre Mitglieder gestalteten in der Vergangenheit nicht die Migration.

    Und die Vaterländer machen sich über die Kommission daran, die EU zu zentralisieren, zugunsten der Mitgliedsländer. So sollen künftig nicht mehr die Regionen, immerhin die vielbeschworene dritte Ebene in der EU-Architektur, die Strukturfonds der EU verwalten, sondern die Einzelstaaten.

    Offene Nationalisierung

    Die Union schlägt ja vor, die bisherige regionale Verwaltung der EU-Struktur- und Kohäsionspolitik (die Politik des wirtschaftlichen, sozialen und territorialen Zusammenhalts) den Staaten zu übertragen. Ein krasser Versuch, die Regionen als Mitgestaltende endgültig auszuhebeln. Regionen, die in vielen Fällen auch Siedlungsgebiete sprachlicher und nationaler Minderheiten sind. Nutznießer dieser Entregionalisierung sind die Mitgliedsstaaten.

    Die Kommission will die bisherigen 530 Programme — von der Kohäsions- bis zur Agrarpolitik — in einem einzigen Fonds zusammenlegen. Vorbild dafür ist der Recovery Fund zum Wiederaufbau nach der Corona-Pandemie. Dieser Recovery Fund wird von den Staaten verwaltet, zentralistisch, die Regionen werden zu Bittstellern degradiert.

    Die verschiedenen Struktur- und Kohäsionsfonds — bisher meist erfolgreich regional verwaltet und gemanagt — werden zu Instrumenten der Mitgliedsstaaten. Von wegen Europa der Regionen, Regionen als dritte EU-Ebene, Europa von unten.

    Regionaler Widerstand

    Inzwischen formiert sich regionaler Widerstand. Der Ausschuss der Regionen, ein nur beratendes Gremium, von der Kommission selten zur Kenntnis genommen, kritisierte die geplante Zentralisierung heftig. Die Erfahrungen mit dem Corona-Aufbaufonds schrecken ab, sagen Regionalpolitiker. Diese zentralisierten Fonds sind bürokratische Monster. Regionale Belange wurden nicht zur Kenntnis genommen.

    Die Autonome Provinz Bozen – Südtirol und die Autonome Region Friaul-Julisch-Venetien in Italien übten heftige Kritik an den Kommissionsplänen. Der Südtiroler Landeshauptmann Arno Kompatscher (SVP) würdigte die Kohäsionspolitik als ein wichtiges Instrument, um Ungleichheiten zu beheben: »Die Regionen wissen am besten, wo Handlungsbedarf besteht. Die Erfahrung mit dem staatlichen Wiederaufbaufonds hat gezeigt, dass eine zentrale Umsetzung weniger erfolgreich ist.« Die Regionen wollen weiterhin eine tragende Rolle in der Kohäsionspolitik der EU spielen, sagte Kompatscher.

    Laut Kompatscher geht es bei dieser Debatte nicht nur um die Strukturfonds, sondern um die regionale EU: »Wir brauchen ein Europa der Regionen — kein Europa der Ministerien.« Die regionalen Politiker befürchten, dass eine zentralisierte Verwaltung die lokalen Bedürfnisse ignorieren könnte.

    In einem Schreiben der Regionalpolitiker aus Italien an die Kommission heißt es, dass es keinen Sinn macht, Gesamtpläne für ganze Staaten zu erstellen. Sinnvoller sei es, weiterhin auf die spezifischen Bedürfnisse der Regionen einzugehen. Konkretes Beispiel: Die Region Basilikata in Süditalien hat andere Anforderungen als Südtirol im Alpenraum. Mit den aktuellen EU-Plänen entfernt sich Europa noch weiter von seinen Bürgerinnen und Bürgern, befürchten die regionalen Regierungschefs.

    Protest der Minderheitenparteien

    Die Fraktion der Nationalitätenparteien, die Europäische Freie Allianz (EFA), unterstützt den regionalen Protest. Mit der geplanten Zentralisierung werden die regionalen Zuwendungen gekürzt, zugunsten der Mitgliedsstaaten. Die Kommission drehe offensichtlich die Zeit zurück, stellt die EFA-Fraktion fest, die angestrebte Renationalisierung gefährde das europäische Projekt.

    Die Zentralisierung ist laut EFA bereits jetzt spürbar. Verwalten Mitgliedsstaaten EU-Mittel, wird einseitig umverteilt, kritisieren die EFA-Parteien. Der Vergleich zwischen den Ergebnissen des Kohäsionsfonds, der direkt an die Regionen vergeben wird und der verstaatlichten EU-Fonds verdeutlich die EFA-Kritik: »Regionen, die mit der staatlichen Regierungspartei verbündet sind, profitieren von einer höheren finanziellen Zuweisung, während die Regionen, die gegen die Zentralregierung sind, den Preis dafür zahlen.« Betroffen davon sind Minderheitenregionen, die von regionalen Minderheitenparteien regiert werden.

    Regionale Programme sind europäische Projekte

    Für die Europäische Freie Allianz sind die regionalen Programme tatsächlich europäische Projekte, die sich am stärksten auf das Leben der Bürgerinnen und Bürger auswirken. Und die Kohäsionsprojekte sind eine der Säulen des europäischen Aufbauwerks und einer der Hauptgründe, warum sich Regionen mit diesem politischen Projekt verbunden fühlen.

    Die EFA bekennt sich zur Europäischen Union, zum Europa der Regionen, gegen das Kartell der Vaterländer: »Wir können nicht zu einem Europa zurückkehren, das auf den Interessen der Staaten basiert. Die EU ist viel mehr. Es ist ein Projekt, das alle Europäerinnen und Europäer einbezieht und ihnen dient: ein Europa für alle Regionen.«

    Die Selbstdemontage hat begonnen

    Die Union ist derzeit dabei, sich selbst zu demontieren. Einige Mitgliedsstaaten sind besonders engagiert mit dabei, wie der eifrige ungarische Ministerpräsident Viktor Orbán. Er bastelt an einer antiukrainischen Allianz mit der Slowakei des Robert Fico und mit Tschechien von Andrej Babis. Drei ausgewiesene Gegner der EU.

    Orbán hofft auf einen Wahlsieg seines freiheitlichen österreichischen Freundes Herbert Kickl, der beste Aussichten hat, bei den nächsten Wahlen »Volkskanzler« zu werden. Als solcher wird er dann seine »Volksrepublik Österreich« — seine »Festung Österreich« — in diese Orbán-Allianz einbringen. Eine Wiederauflage des Vielvölkerstaates Habsburg, nur deutlich reaktionärer und als Vorhof Russlands.

    Kippt Frankreich nach der Präsidentschaftswahl 2027 nach rechts und Deutschland 2029 ebenso, wird es diese EU nicht mehr geben. Nur mehr Vaterländer, die keine Rücksicht auf Regionen und Minderheiten nehmen. Die entsprechenden Vorarbeiten leistet die amtierende EU-Kommission.


    Autor:innen- und Gastbeiträge spiegeln nicht notwendigerweise die Meinung oder die Position von BBD wieder, so wie die jeweiligen Verfasser:innen nicht notwendigerweise die Ziele von BBD unterstützen. · I contributi esterni non necessariamente riflettono le opinioni o la posizione di BBD, come a loro volta le autrici/gli autori non necessariamente condividono gli obiettivi di BBD. — ©


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  • Die ›Unités des Communes Valdôtaines‹.

    Vor rund zehn Jahren wurden die Bezirksgemeinschaften der Region Aostatal von »Berggemeinschaften« (französisch Communautés de montagne, italienisch Comunità montane) in Unités des Communes Valdôtaines umbenannt, von denen es insgesamt acht gibt:

    • die Unité des communes valdôtaines Mont-Émilius;
    • die Unité des communes valdôtaines Évançon;
    • die Unité des communes valdôtaines Mont-Cervin;
    • die Unité des communes valdôtaines Grand-Combin;
    • die Unité des communes valdôtaines Grand-Paradis;
    • die Unité des communes valdôtaines Mont-Rose;
    • die Unité des communes valdôtaines Valdigne-Mont-Blanc und
    • die Unité des communes valdôtaines Walser.

    Die Besonderheit dabei ist, dass es für diese Bezeichnungen im Unterschied zu den früheren Communeautés de montagne keine offizielle Entsprechung in italienischer Sprache gibt — weder für den beschreibenden Teil (Unité des communes valdôtaines), noch für den jeweiligen Ortsnamen, obschon es für viele davon eine historisch gewachsene italienische Entsprechung gäbe: Monte Emilius für Mont-Émilius, Monte Cervino für Mont-Cervin, Gran Paradiso für Grand-Paradis, Monte Rosa für Mont-Rose und Monte Bianco für Mont-Blanc. Daran scheint sich jedoch — anders als in Südtirol, wo stets alles auch in die Staatssprache übersetzt werden muss — niemand zu stören.

    Die Unité des communes valdôtaines Walser mit Sitz in Éischeme/Issime hat als einzige eine offizielle zweisprachige Bezeichnung, nämlich im Sinne des Minderheitenschutzes zusätzlich zu Französisch auch auf Deutsch: Union der Aostataler Walsergemeinden. Vor der Umbenennung 2015 war dies analog dazu die einzige Berggemeinschaft mit dreisprachigem Namen (Deutsch, Französisch und Italienisch).

    Es gibt also auf italienischem Staatsgebiet Orte, wo nichtitalienische Einsprachigkeit (affirmative action) möglich ist. Die vermutlich einzige »Bezirksgemeinschaft« mit einem deutschen, aber keinem italienischen Namen befindet sich jedenfalls nicht in Südtirol, sondern im Aostatal.

    Cëla enghe: 01 02 03 04 05 06 07



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  • Asymmetrische Förderung von Rätoromanisch und Italienisch.
    Schweiz / Sprachpolitik

    Am Mittwoch hat der Schweizer Bundesrat — die Regierung der Eidgenossenschaft — eine Revision der Sprachenverordnung von 2010 genehmigt, die es dem Bundesamt für Kultur (BAK) fortan ermöglicht, die beiden kleineren Landessprachen Italienisch und Rätoromanisch auch außerhalb ihrer angestammten Sprachgebiete, die sich in den Kantonen Tessin und Graubünden befinden, zu fördern. Dem eigentlich in der Schweiz vorherrschenden Territorial(itäts)prinzip, das für die beiden größeren Sprachgemeinschaften (die deutsche und die französische) weiterhin gilt, widerspricht dies.

    Die nun beschlossene Ausnahme kann den asymmetrischen bzw. den affirmativen Maßnahmen zugerechnet werden, einem Prinzip, das einen speziellen Schutz für kleinere und somit gefährdetere Sprachen vorsieht. Dies trägt der Erkenntnis Rechnung, dass diese Sprachen eine größere Vulnerabilität haben und strukturellen Benachteiligungen ausgesetzt sind.

    Konkret will das BAK nun Projekte fördern, die Italienisch als Schulfach in den Sprachregionen attraktiver machen sollen, in denen Italienisch nicht Amtssprache ist. Kulturprojekte für Kinder und Jugendliche der italienischsprachigen Diaspora, die deren Bezug zur italienischen Sprache und Kultur stärken, sollen ebenfalls unterstützt werden. Rund die Hälfte der italienischsprachigen Bevölkerung der Schweiz lebt nicht in Gebieten mit italienischer Amtssprache. Dabei handelt es sich zu einem erheblichen Teil auch um Zugewanderte aus Italien und deren Nachfahren.

    Auch Maßnahmen, die das Erlernen und die Verwendung der rätoromanischen Sprache begünstigen, sollen fortan gefördert werden, etwa durch den Ausbau des schulischen und außerschulischen Unterrichts. Unterstützt werden sollen einer Mitteilung des Bundesrates zufolge auch Projekte zur Vernetzung von Rätoromanisch sprechenden Personen — von denen sogar rund zwei Drittel nicht in Graubünden, dem einzigen Kanton mit dieser Amtssprache, leben.

    Ziel der revidierten Sprachenverordnung seien, so der Bundesrat, die Erhaltung und Förderung von Erstsprachen sowie die Förderung der kulturellen Vielfalt der Schweiz.

    Das wäre so, als würde Italien etwa die deutsche und die ladinische Sprache nicht nur innerhalb, sondern auch außerhalb Südtirols respektive der Ladinia proaktiv fördern. Spanien unternimmt neuerdings mit speziellen Rechten für die baskische, galicische und katalanische Bevölkerung, die über die jeweiligen Sprachgebiete hinausgehen (vgl. 01 02 03), ähnliche Anstrengungen. In Italien scheint dies jedoch schwer vorstellbar, da selbst die verbrieften Sprachrechte innerhalb Südtirols und Ladiniens auch nach Jahrzehnten noch nicht umgesetzt und weiterhin Erosionsprozessen ausgesetzt sind.

    Auch das Land Südtirol könnte aber seine Anstrengungen verstärken, die ladinische Sprache über das vorgeschriebene Maß hinaus auch außerhalb von Gherdëina und Badia zu fördern und zu unterstützen.

    In der Schweiz werden durch die Revision der Sprachenverordnung auch die Sollwerte für die Vertretung der Sprachgemeinschaften in der Bundesverwaltung aktualisiert und zugunsten der Französischsprachigen (von 21,5-23,5% auf 22,5-24,5%) und der Italienischsprachigen (von 6,5-8,5% auf 7,5-8,5%) korrigiert. Es handelt sich dabei um eine Art Proporz, der eine angemessene Repräsentanz der einzelnen Gemeinschaften in der zentralen Verwaltung sicherstellen soll.

    Cëla enghe: 01 02 03 04 05 06 07 08 09 | 10



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