In risposta a una missiva alquanto delirante, il cui autore paragona la parificazione del tedesco nell’etichettatura dei prodotti alla traduzione dei cognomi (!) durante il fascismo, il direttore dell’A.Adige, Alberto Faustini, scrive nell’edizione di ieri:
Le dico due cose. La prima è che capisco la sua rabbia. La seconda è che però non è questo (parlo del conflitto, della generalizzazione di ogni ragionamento che ormai sa di vecchio, di stantio) il modo per cambiare le cose. La strada non può che essere quella del dialogo, benché il dialogo non preveda, comunque, che si accettino etichette in una sola lingua.
Faustini avrebbe dovuto aggiungere «eccettuate quelle monolingui italiane», dato che ad oggi l’unica lingua tassativamente prevista dal legislatore è appunto quella «dello stato». Non mi risulta però che questo monolinguismo italiano, che riempie gli scaffali dei supermercati, abbia mai disturabato chi — come Faustini — oggi si riempie la bocca di plurilinguismo e parità di diritti. Certo, loro risponderanno che al monolinguismo odierno non va affiancato il monolinguismo tedesco (perché no? il cliente sarebbe confrontato con prodotti etichettati in lingue diverse e sarebbe libero di scegliere), bensì il bilinguismo… ma allora, oltre a chiedermi perché questa necessità venga riconosciuta solo oggi (quando è il monolinguismo italiano a rischiare di venir scalfito), mi permetterò di giudicarli sui fatti: lancino una campagna giornalistica sul rispetto del bilinguismo in tutti gli ambiti, e non solo in quelli (pochi) in cui a essere svantaggiata è la lingua italiana. Per cominciare consiglierei i foglietti illustrativi dei medicinali, a tutt’oggi illegalmente (!) monolingui, nonostante si tratti di uno degli ambiti più sensibili per la salute dei cittadini.
Mi sono rivolto a Faustini per dirglielo — vedremo cosa risponde, se risponde.
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